Una banca per il Popolo Spoletino per riprenderci tra le mani le redini del nostro futuro (di Guido Grossi coordinatore di Cittadinanzattiva Spoleto)
La Legge la voleva così: banca del popolo, controllata dai suoi cittadini, al servizio del tessuto economico locale. Gli articoli 29-32 del Testo Unico Bancario (d.lgs. 385 del 1993) disegnano, ancora oggi, la figura della “Banca Popolare” nella forma di società cooperativa dove vale la regola realmente democratica “una testa un voto”. E’ richiesto un numero minimo di 200 soci (e si spera siano molti di più), per garantire ampia condivisione “popolare” alle decisioni, perché le decisioni che prende una banca influenzano profondamente il funzionamento e “lo stile” dell’economia locale, quindi la vita di tutti noi. La banca del popolo può assicurare che i servizi di tutela del risparmio, i prestiti alle famiglie e alle aziende, i servizi di pagamento, siano offerti a tutti i membri della collettività locale in maniera equa, sostenibile e, soprattutto, in maniera da anteporre gli interessi “sociali” della collettività agli interessi dei singoli. In questa maniera si evita che la banca, che per definizione maneggia troppi soldi, si lasci tentare dalle lusinghe della finanza (fare soldi con i soldi) e resti concentrata sulle attività produttive locali: impresa e lavoro, economia reale. Non sono i soldi a renderci ricchi, ma i beni reali e i servizi utili che produciamo con il lavoro e la sua organizzazione nelle imprese. I soldi servono solo a scambiarceli. Ricordiamo che nel 1993 è avviata a pieno ritmo la “finanziarizzazione” e la privatizzazione delle grandi banche del paese, e che lo strumento della Banca Popolare doveva servire a porre un argine al fenomeno e a tutelare il tessuto produttivo nei territori.
Naturalmente, dipende poi dalla capacità dei singoli territori, dei singoli “popoli”, riuscire a mettere realmente a disposizione della collettività le migliori energie di tutti, oppure lasciare che pochi “notabili” si approprino dell’uso della struttura, piegandolo, col tempo, ai propri interessi privati. Diamo spesso per scontato che a dover fare certe cose possano essere solo quelli che, finanziariamente, hanno grandi disponibilità economiche. Nulla di più sbagliato: dimentichiamo che l’unione fa la forza.
Ad ogni modo: tutto troppo bello per essere vero! Infatti, la stessa legge ha previsto la possibilità di “trasformazione” delle banche popolari: da società cooperative a società per azioni. Lo si può fare per aumentare il patrimonio della banca o per fondersi con altre banche. Ora, in una banca che è diventata S.p.a. ordinaria, per definizione, gli interessi della collettività vengono sacrificati agli interessi del capitale: comanda chi ha i soldi, e tanti saluti al principio “uno vale uno”. Anche per queste vie si passa dalla Democrazia alla Plutocrazia.
E così, per la Banca Popolare di Spoleto come per la quasi totalità delle banche popolari, la trasformazione è avvenuta. Le conseguenze le abbiamo sotto gli occhi: perso il legame col territorio e i suoi cittadini, poca economia reale e tanta finanza. Titoli, derivati, cartolarizzazioni… Ma il mondo della finanza è fatto per gli squali, quelli grossi. I pesci piccoli sono solo prede, destinate a nutrire, direttamente o indirettamente, gli squali più voraci. Sorvoliamo.
Non piangiamo sul latte versato ma pensiamo, piuttosto, a quello che è possibile fare. Possiamo assistere inermi al duello fra “cordate” dei notabili locali e offerte “forestiere” e, magari, fare il tifo per questo o per quello, come fosse una partita di calcio. Oppure, possiamo concepire l’idea, apparentemente folle ma forse molto più sensata di quanto non possa sembrare a prima vista, di restituire la BPS letteralmente al Popolo Spoletino, coinvolgendo non venti e neppure duecento, ma mille, duemila o, perché no, diecimila cittadini. Cittadini che, con una consapevole assunzione di responsabilità, decidono di “investire” i propri risparmi in un progetto concreto per il benessere presente e futuro del proprio territorio, mettendo una Istituzione importante al servizio del bene comune, sottraendolo agli interessi privati. Con l’obiettivo, chiaro e dichiarato, di ricreare la banca cooperativa, veramente del popolo, dove uno vale uno, indipendentemente dai soldi che ha. Dove l’investimento finanziario è intimamente collegato al coinvolgimento nella gestione. Aggiungendo, naturalmente, il divieto di speculare sui mercati finanziari e l’obbligo di impiegare i risparmi dei cittadini nelle attività produttive locali che meritano la nostra fiducia
Dove prendere i soldi? Ce ne sono in abbondanza, nonostante la crisi. Anzi, a dire il vero, la crisi c’è perché troppi soldi stanno fermi, investiti sui mercati finanziari, e si rifiutano di fare il loro dovere: circolare, per
favorire gli scambi e gli investimenti produttivi. Non conosco in dettaglio le disponibilità finanziarie delle famiglie spoletine, ma immagino che non siano poi così diverse dalle medie nazionali, come illustrate nei documenti elaborati annualmente da Banca d’Italia sulla “Ricchezza delle famiglie Italiane”. I dati complessivi, illustrati e commentati, sono rinvenibili sul sito della Banca d’Italia, a questo indirizzo: http://www.bancaditalia.it/statistiche/stat_mon_cred_fin/banc_fin/ricfamit/2012/suppl_65_12.pdf. Otto mila seicento miliardi di patrimonio totale delle famiglie, di cui 3500 in attività finanziarie. Possiamo quindi desumere per Spoleto un ordine di grandezza proporzionale di circa 5-6 miliardi di euro di patrimonio privato. Di questi, almeno due miliardi e duecento milioni sono investiti in attività finanziarie: depositi, titoli, derivati, fondi comuni, prodotti vari per l’investimento. Concentriamoci su questa ricchezza finanziaria: 2,2 miliardi. Non mi sono informato con precisione su quanti soldi occorrano per acquistare il controllo della BPS, ma dai dati di bilancio si desume che l’ordine di grandezza è nelle decine di milioni di euro. Quindi, volendo, le famiglie spoletine sono sicuramente in grado di reperire senza difficoltà, all’interno dei 2,2 miliardi, le decine di milioni necessarie all’operazione, senza causare grandi sconvolgimenti, né nei patrimoni privati, né negli assetti complessivi del sistema locale. Se poi coinvolgiamo, come è ragionevole fare, i cittadini dei comuni limitrofi, lo sforzo diventa ancora più piccolo.
Perché dovremmo farlo? Avendo ricoperto responsabilità di rilievo nel settore finanziario in una grande banca italiana (ex italiana, per la precisione), posso parlare con cognizione di causa. Investire in attività finanziarie, se è fatto da persone che non sono del mestiere e in maniera totalmente disgiunta dalla gestione, è un po’ come dare ascolto alle lusinghe del gatto e della volpe che ci invitano a seminare di sera i nostri zecchini d’oro nell’orto, sperando di svegliarci il giorno dopo e poter iniziare a raccogliere i frutti, miracolosamente spuntati dal nulla. La realtà è che non ci sono “maghi” in grado di predire il futuro, e i mercati finanziari, in genere, sono appesantiti da bolle speculative destinate a ridimensionarsi, forse con fragore. Ci sono in giro, invece, molti gatti e molte volpi pronte a scavare di notte… Ripensiamo alle nostre attività finanziarie. Recuperiamo un po’ di buon senso e prendiamone atto: la ricchezza non ce la regala nessuno. Ce la dobbiamo guadagnare con il sudore della fronte, producendo, con il nostro lavoro e la sua organizzazione nell’impresa, beni reali e servizi utili a tutti noi. E poi scambiarceli, beni e servizi, visto che produciamo ognuno cose assai diverse e nessuno di noi è in grado di produrre tutto quello di cui ha bisogno. Ecco, una banca dovrebbe servire solo a questo: fare in modo che la produzione e gli scambi possano avvenire senza intoppi, intermediando il risparmio privato e facendo fluire credito e pagamenti là dove – nell’interesse comune – ce n’è più bisogno. Oggi, le banche non lo stanno facendo.
Insomma: vogliamo avere nel nostro territorio almeno una banca che non ci inviti solamente a seminare i nostri zecchini nell’orto dei miracoli? Che restituisca a questa città ed ai suoi cittadini una speranza ed una possibilità concreta di investire, investire risorse in un futuro migliore? Investire in progetti che creino occasioni di lavoro mentre possono rendere decisamente migliore la nostra città e la nostra vita al suo interno? Ebbene, non dobbiamo sperare che altri si muovano, perché non lo faranno mai nel nostro interesse generale. Noi, cittadini, dobbiamo assumerci in prima persona la responsabilità della scelta e diventare protagonisti della rinascita del tessuto sociale ed economico nel nostro territorio. I numeri ci sono, la legge lo consente. Dipende solo da noi: vogliamo / non vogliamo. Vogliamo essere respons-abili del nostro presente e del futuro dei nostri figli (responsabili = abili a dare risposte concrete) / non vogliamo essere responsabili.
Come fare? Come hanno già fatto altri: mettendo insieme le persone disposte ad investire nel progetto, per presentare alla città e alla Banca d’Italia un convincente piano di attività. Con la differenza, non da poco, di non voler creare una cordata di pochi “notabili”, i quali, inevitabilmente, finirebbero per piegare l’uso della banca agli interessi di pochi. Ma con l’obiettivo, ben diverso, di coinvolgere centinaia e magari migliaia di cittadini di Spoleto e dei comuni limitrofi in un progetto che va ben oltre il mero investimento finanziario ma si pone l’obiettivo ambizioso di riportare il futuro della nostra società nelle nostre mani. Per riprenderci la sovranità popolare che stiamo rischiando di perdere.
Incontriamoci, e discutiamone insieme.
Guido Grossi
Coordinatore di Cittadinanzattiva Spoleto
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Spoleto
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