La relazione di Paolo Baronti : “L’Italia nel declino politico, economico e morale “
Capire le cause, individuare le responsabilità e proporre le necessarie iniziative per riaccendere il futuro del nostro Paese
1. I Partiti e la politica
1.1.Scende la fiducia nella classe politica. Secondo i rapporti del CENSIS si registra ogni anno un sempre più marcato indebolimento della fiducia del cittadino nei confronti della classe politica: mentre nel 1994 gli elettori che avevano “molta fiducia” nei politici erano l’8,8 per cento, la percentuale scende al 5,1 nel 2006, per arrivare, nel 2008, sotto il 5%.
1.2. “Agende separate” tra cittadini e partiti.
Le rubriche della Posta dei principali giornali, fin dai primi mesi del 2002, erano già piene di lettere di pensionati che, disperati, proclamavano personali scioperi della spesa,per gli aumenti enormi e generalizzati dei prezzi, a seguito delle speculazioni dopo l’entrata in vigore dell’Euro, ma per due anni, tale problema, al primo posto nei pensieri degli italiani, non fu ritenuto meritevole di essere iscritto nell’agenda della Politica da parte di nessun Partito, fin quando non è stato pesantemente sollevato da Cittadinanzattiva. I cittadini avvertono, ogni giorno di più, che il sistema democratico rappresentativo non funziona, che gli eletti cioè non si curano di portare nelle istituzioni la tutela degli interessi che dovrebbero rappresentare, ciascuno secondo il proprio patrimonio ideale e politico.
1.3. La crisi dei partiti
1.3.1 Le trasformazioni del “dopo muro” e del dopo Tangentopoli Con il crollo del muro di Berlino, finisce il secolo delle grandi ideologie, il Novecento, e in tutta Europa si assiste ad una lenta trasformazione della forma partito: la secolarizzazione dei valori, le grandi trasformazioni tecnologiche che hanno aumentato le modalità e la qualità della comunicazione pubblica, riducevano significatamente la possibilità che la partecipazione ai processi democratici potesse avvenire nelle forme del passato. Si affermava poi la comunicazione televisiva che imponeva la spettacolarizzazione del dibattito politico, l’abilità mediatica dei leader, la brevità e l’efficacia del messaggio. Ma in Italia tale processo coincise con la disaffezione alla politica causata da Tangentopoli, un enorme intreccio di corruzione, concussione e finanziamenti illeciti, che coinvolgeva imprenditori e numerosi esponenti della classe politica, locale e nazionale. I partiti subirono tutti un forte trauma sia nelle prospettive ideali sia negli assetti organizzativi.
1.3.2.La “mutazione genetica” dei partiti della Sinistra. Ma la crisi del sistema politico è stata in Italia è stata indotta dalla crisi della Sinistra e specificamente di un partito, il PCI, che si proponeva da 50 anni come una potente macchina ideale ed organizzativa per il rinnovamento democratico radicale del Paese. Esso si trovò all’improvviso a fare i conti con la propria storia , i propri principi, con i propri simboli: mentre il Paese si trasformava rapidamente il PCI si fermò per tre anni e due congressi per decidere il cambio del simbolo. I fenomeni negativi, carrierismo, opportunismo trasformismo che già allignavano dentro tale partito, erano fino ad allora tenuti comunque a bada dal cemento dell’organizzazione. Ma all’improvviso esplosero tutti insieme: cadde di un colpo tutto il patrimonio di esperienze e di valori accumulati in 50 anni di governo di comuni province e regioni e rimasero solo alcuni leader molto presupponenti che decisero che il partito erano loro e che bastasse andare al Governo per riuscire in quattro e quattr’otto a modernizzare l’Italia, essendo loro i migliori politici in assoluto. L’esperienza dei Governi 1996-2001 ci consegna così una classe dirigente che continuava ad affermare che il Governo di Centrosinistra era il migliore dei Governi possibili e che il problema era che i cittadini stranamente non capivano, cioè stava nella mancata capacità di “comunicare”ai cittadini e “valorizzare” le cose fatte. Ciò comportò la creazione di Uffici stampa con l’assunzione di migliaia di giornalisti in tutti gli enti. Ma probabilmente da un Governo presieduto dal Capo del Partito e per quasi 50 anni era stato all’opposizione gli italiani si aspettavano che realizzasse davvero un Paese più equo, più solidale, più giusto cioè un “Paese normale” incidendo concretamente nelle situazioni di più evidente privilegio ed ingiustizia stratificate nel tempo nel corpo sociale ed economico del Paese e rinnovando realmente le istituzioni , gli apparati, i servizi pubblici e l’economia. Il giudizio più diffuso, cocente nella sua essenzialità, era , invece, che, con la Sinistra al Governo, “non fosse cambiato niente” che cioè l’Italia presentasse ancora intatti i caratteri di un Paese dominato dal disordine,in tutti i settori della vita pubblica di cui anzi il disordine costituiva la molla e l’alimento, producendo una vasta, consolidata, diffusa cultura di uso privato della cosa pubblica che aveva attraversato tutta la società ma si è concentrata sul ceto tecnico amministrativo e professionale e che si poteva sintetizzare nella pratica quotidiana del binomio: ricchezza privata miseria pubblica. Un sistema cioè che continuava a produrre favoritismi, raccomandazioni, privilegi, piccole e grandi illegalità ogni giorno, spesso compiute alla luce del sole, ancora con l’arroganza di un tempo, senza che, ancora troppo spesso, nessuno ritenesse di dover intervenire. Di fatto per le enormi ambizioni personali di alcuni dirigenti si era “buttato via il bambino” cioè il patrimonio politico del PCI e “si era tenuta l’acqua sporca” cioè le peggiori pulsioni, l’opportunismo, le ambizioni, le lotte di potere etc. Ciò ha determinato per la brevità dei tempi in cui si è consumata tale trasformazione una sorta di “mutazione genetica”: dirigenti dell’ex PCI, prima stimati ed amati dalle popolazioni per le loro qualità politiche ed amministrative e le capacità di ascolto, si erano trasformati in inavvicinabili capicorrente, intesi a gestire gli affari della politica con i poteri forti locali cambiando radicalmente abitudini di vita frequentazioni, modi di vivere, pur restando le stesse persone.
1.3.3. La nascita di Forza Italia e della Lega Nord Forza Italia e la lega nord sono state la risposta politica ad una obiettiva crisi reale di rappresentanza, con i partiti della sinistra in una transizione autoreferenziale perennemente chiusi dentro le istituzioni, ma incapaci di comprendere che i mutamenti epocali riguardavano anche la società e l’economia. La crisi della prima repubblica non era, infatti, solo crisi morale, ma prima di tutto crisi degli assetti i sociali ed economici: la crisi dello stato nazionale, le trasformazioni tecnologiche e produttive, la frammentazione del lavoro, la rottura dei tessuti urbani, tutti tasselli di un mosaico nuovo che generava profonda insicurezza. Così tali forze politiche sono state viste come strumento per ricomporre una nuova “visione” della società: Forza Italia intorno ad una specifica rappresentanza sociale (il mondo delle piccole imprese e dei lavoratori autonomi) e la Lega una rappresentanza cultural-territoriale (la razza padana, il nord entità collettiva che rifiuta il diverso, ecc.),. Risposta conservatrice, quella della Lega che faceva leva più sull’antico che sul contemporaneo, diversa quella di Forza Italia che si presentava come una forza liberista e liberale, ma che di entrambe tali ideologie non ha avuto niente, ma solo il libertininismo politico e l’anarchia istituzionale di un imprenditore che voleva usare le istituzioni per arricchire se stesso, promettendo agli italiani che anche per loro sarebbe stato lo stesso.
1.4. La causa principale del declino:una legislazione elettorale perversa. Ma la causa principale che ha determinato in Italia, al contrario di altri Paesi europei, un così rapido declino dei partiti e della qualità della politica è costituito da una disastrosa legislazione elettorale sia per il Parlamento che per il sistema delle Regioni e degli enti, attuata a seguito del referendum popolare le cui motivazioni sono state però stravolte.
1.4.1. Il “Mattarellum”Il sistema maggioritario nella democrazia inglese ha generato da secoli stabilità e governabilità. Può non piacere, ma la cosa peggiore di tutte è quella di adottarlo, “adattandolo”, non alle esigenze della democrazia, ma a quelle di un ceto politico, che pretendeva garanzie, comunque, di essere eletto. Il fondamento politico istituzionale del maggioritario inglese è quello di una democrazia matura in cui ogni partito deve porsi di fronte al cittadino elettore come forza di governo, deve cioè essere in grado di proporre idee programmi e uomini per onorare la sua presenza nell’agone politico. In Italia invece molti partiti erano sostanzialmente bloccati in quanto a slogan, simboli e visione della realtà, alla fase post bellica della Resistenza e così da privilegiare un ruolo di tribuna critica, sia quando erano al governo che all’opposizione e pertanto pretesero il Mattarellum o maggioritario di coalizione. Tale sistema ha determinato, così, effetti completamente opposti a quelli dichiarati: non ha prodotto stabilità, ma un’impressionante aumento dei partiti, non ha creato rapporti tra eletto ed elettori, ma è diventato causa di disaffezione della vita politica: invece che trasformare un Parlamento litigioso in due soli disciplinati partiti si sono creati due schieramenti contrapposti costretti l’uno e l’altro ad accogliere nel proprio seno gruppi, formazioni, centri di pressione che avessero qualche seguito elettorale e a costruire con essi complesse e debilitanti contrattazioni sull’assegnazione dei seggi più sicuri.
1.4.2. L’elezione diretta di Presidenti di Regione di Sindaci e di Presidenti di Provincia Danni ancora peggiori hanno indotto le legislazioni elettorali per Regioni ed Enti locali. Non l’elezione diretta, che era necessaria per evitare l’insostenibile fragilità degli esecutivi, in balia di gruppi di pressione in permanente assetto di ricatto, ma l’elezione di un Presidente di regione o di Provincia o Sindaco, pur con leggi diverse, fuori dai partiti e non come massimo esponente degli stessi, in un nuovo salvifico rapporto diretto con gli elettori, come capo di coalizioni sempre più numerose e sempre meno coese. Non c’è più un programma di governo, ma ce ne sono uno per partito più quello del Sindaco o del presidente, cioè, di fatto, non c’è nessun programma, ma solo le decisioni del Capo dell’Amministrazione che di fatto diventa il nuovo dominus che tratta direttamente con i sistemi di potere locale. Nell’organizzazione dei partiti il livello fondamentale è quello locale, la rete territoriale che alimenta la partecipazione e la democrazia: i partiti sono stati così tagliati fuori dalle decisioni fondamentali che riguardano la Comunità ed il territorio e quindi deperiscono come ruolo politico. E così, in nome di una presunta stabilità si è ricreato il notabilato, fenomeno degenerativo caratteristico delle regioni meridionali dell’inizio Novecento, contro il quale si erano formati sia il Partito popolare che il PCI: un suicidio politico e morale di una classe politica con scarso senso della propria storia e dei propri valori.
1.5. Gli esiti: l’impoverimento della vita democratica dei partiti. I Congressi dei partiti sono diventati quasi esclusivamente una conta dei tesserati. Tessere che una volta erano il segno della scelta individuale del cittadino e della partecipazione attiva alla vita «democratica». Tessere che una volta riempivano le serate di discussione e di lavoro delle «sezioni di partito»…sono finite, oggi, per essere soltanto «tessere dei Congressi». Tessere che servono a «sostenere» questo o quel Segretario di sezione, di Federazione o di capocorrente. Sedi di partiti «vuote» di persone e iscritti! Il rapporto tra iscritti non è più un rapporto paritario tra pari, ma tra leader che cerca consensi personali e il cliente di turno che in cambio chiede un favore, un posto pubblico una casa popolare, una consulenza, la trasformazione di un terreno in edificabile etc. Il rapporto politico diventa rapporto clientelare cioè una forma di corruzione che imbarbarisce sempre di più la politica.
1.5.1.L’esito: partiti deboli, anzi debolissimi. I partiti sono ormai ridotti nella sostanza, fuori dalle vetrine dei congressi, in aggregati instabili di detentori di cariche pubbliche, costretti dai meccanismi elettorali ad impiegare la gran parte delle energie e del tempo per accordarsi tra di loro su candidature e posti da assegnare, cioè sulla gestione del potere – chiamando tutto ciò poi, pomposamente, “accordi sui programmi”-. La politica è oggi debolissima ed i partiti sono oggi l’elemento di massima debolezza del sistema.
1.5.2. Gli esiti: Partiti deboli e poteri forti sempre più forti. La fine dei partiti di massa e di ogni momento di verifica democratica all’interno dei partiti ha fatto risorgere e prosperare nella società, il modello organizzativo più consono ad una classe dirigente con scarso senso dello stato ma con forte senso degli interessi personali, familiari, di categoria e cioè le consorterie di varia natura, ma soprattutto quelle massoniche. Accusate nei momenti più alti della storia repubblicana di aver tradito gli iniziali valori di libertà e progresso spirituale per i propri adepti ed essere divenute strumenti di sistematica corruzione delle istituzioni e di violazione sistematica delle leggi, esse sono rifiorite accogliendo sempre più proseliti e continuando, totalmente indisturbate a tessere le loro tele a protezione dei propri adepti, nei concorsi, negli appalti nella scelta dei candidati di molti partiti, nella scelta maggioritaria dei direttori delle aziende sanitarie.
2. Gli effetti negativi sulla P.A.
2.1. La mancata riforma del 1993. Negli anni dopo Tangentopoli era iniziato un consistente movimento per rinnovare le istituzioni: si affermava l’esigenza di una liberalizzazione e privatizzazione dei servizi per combattere le logiche gestionali autoreferenziali e ridare vigore alla capacità di governare. La riforma sanciva che «nell’ordinamento degli uffici sono determinate le sfere di competenza, le attribuzioni e le responsabilità proprie dei funzionari», attribuendo ai politici le funzioni di indirizzo e verifica ed ai dirigenti le concrete funzioni gestionali di spesa e di intervento. Ma la concreta attuazione normativaè stata completamente capovolta. Gli amministratori, infatti, a tutti i livelli, sono per la stragrande maggioranza lontani mille miglia dal voler interpretare il loro ruolo solo come di mero indirizzo politico e di verifica, ma vogliono invece personalmente gestire interventi e risorse, assunzioni ed appalti indirizzandoli, non a beneficiari e/o destinatari individuati per requisiti generali ed obiettivi, ma il più delle volte molto specifici, cioé personali. Ciò li costringe a venire a patti con i dirigenti, rinunciando così al suo ruolo distinto di controllore e realizzando invece un intreccio di responsabilità, interessi, connivenze fra corpi politici e corpi burocratici, che spesso sfocia in fenomeni di scambio occulto. In particolare si è poi completamente sterilizzato, attraverso la normativa contrattuale il principio della responsabilità, con la valutazione da parte degli amministratori dei dirigenti, introducendo filtri e meccanismi di protezione, per altro mai contrastati dalla parte pubblica, perché anch’essa non interessata a far emergere responsabilità negative di cui potesse essere chiamata a rispondere. Invece che ridursi, hanno proliferato i centri di spesa, con un peggioramento dei servizi che porta anche ad un aumento di costi. L’effettiva e diffusa semplificazione organizzativa, la sicura efficienza operativa, una nuova cultura della responsabilità nell’uso delle risorse pubbliche: tali concetti sono diventati patrimonio più delle varie Fiere della P.A., che di concrete realizzazioni: la “rivoluzione” istituzionale ed organizzativa della macchina pubblica che doveva portare forti cambiamenti anche nel modo di amministrare i sistemi locali, con la ricerca di quella competitività territoriale che la globalizzazione dei mercati induceva a tutti i livelli è rimasta, così, negli annunci e nei programmi, ma molto, molto meno, nelle realizzazioni. Una classe dirigente quella del sistema pubblico allargato – politici – amministratori- dirigenti – ancora lontana dall’acquisire il giusto approccio di chi dovrebbe, quotidianamente, porsi la domanda sull’adeguatezza della propria azione di governo e di gestione, avendo come un salutare rovello nella mente il tema della competitività del sistema Italia. Lo stato di abbandono in cui spesso appare tenuta l’amministrazione pubblica, è pertanto voluto e tollerato o più spesso condiviso da una dirigenza che invece che essere sottoposta alla legge, si pone al servizio del notabile di turno.
2.2.L’abolizione dei controlli Inoltre, a partire dalle riforme costituzionali del 1999, con la trasformazione ed il rafforzamento dei caratteri autonomi degli enti locali, sono stati soppressi i controlli, prima sulle regioni e poi sugli atti degli enti locali. L’intero sistema legislativo, sull’onda di un preteso efficientismo ed alla ricerca di una nuova responsabilizzazione della pubblica amministrazione, ha inteso scientemente eliminare progressivamente ogni forma di controllo preventivo avente ad oggetto la legittimità dei provvedimenti assunti dagli organismi locali. Il risultato è stato, di sradicare la p.a. dal proprio alveo costituzionale di riferimento, affidandone le sorti, per intero, a quella politica che nelle intenzioni iniziali doveva letteralmente uscire dalla gestione della cosa pubblica. La produzione normativa degli ultimi venti anni si basa di un preteso e miracolistico principio privato ed efficientista della macchina pubblica, completamente dimentico della pari rilevanza dei principi costituzionali di imparzialità e buon andamento dell’attività amministrativa (artt. 3 e 97 Cost.), al fine ultimo, dichiarato, di condurre l’ordinamento sui binari del settore privato e sulle regole che governano tale settore, nell’illusione ultima che ciò potesse ridonare la perduta efficacia/efficienza alla p.a. Tutta la gestione dell’attività amministrativa è stata così letteralmente abbandonata nelle mani di soggetti nominati od incaricati direttamente dal potere politico e che ad esso rispondono direttamente, vuoi per l’affidamento e la revoca dell’incarico del dirigente che a detta attività è preposto Ad essi si richiede unicamente la fedeltà al potere politico ed alle sue direttive e non il perseguimento corretto ed imparziale del pubblico interesse. La responsabilità e la capacità professionale della dirigenza si misurano con criteri standardizzati che si vogliono analoghi a quelli dell’impresa privata, con la macroscopica differenza che, nell’ultimo caso, il fine del profitto, giustifica e rende adeguati tali criteri. Nella P.A. tutto ciò ha prodotto criteri incerti e totalmente inaffidabili e, comunque, assolutamente inadeguati rispetto ala realtà di una macchina amministrativa pubblica. La Costituzione pretende che la pubblica amministrazione persegua fini pubblici e tuteli gli interessi generali della collettività, ma ciò contrasta insanabilmente con un preteso e superiore principio di efficienza oltre che con una gestione deresponsabilizzata della cosa pubblica da parte della politica. La conseguenza ulteriore di tale stato di cose, dopo l’abolizione di qualsivoglia forma di controllo esterno e preventivo è stata la banalizzazione delle forme di controllo interno, con i componenti nominati dall’ente stesso, i cui organi si sono rilevati largamente inefficaci, al di là delle autocelebrazioni di qualche componente dei nuclei di valutazione, perché di fatto largamente predeterminate a misura dei voleri del dominus di turno dell’amministrazione. Con il federalismo, poi, inteso da questi nuovi baroni non come responsabilizzazione sulla quantità e qualità della spesa, ma come, finalmente raggiunta, piena autonomia di usare a personale piacimento le risorse pubbliche anche per costruirsi un apparato di clientes beneficiati e quindi fedeli e manovrabili, si sono moltiplicati i centri di potere e di spesa, senza controllo. Una vera deriva oligarchico-feudale che ha contagiato non solo le istituzioni democratiche, ma anche i sindacati le associazioni professionali e persino il Terzo settore e le associazioni di consumatori, alcune delle quali ridotte a nuovi predellini di lancio per le ambizioni dei capi e capetti di turno.
2.2. Gli effetti sul sistema del governo locale. I Comuni Emerge come primo dato la marginalità del ruolo del Consiglio comunale che è determinato però non dall’irrilevanza delle funzioni assegnate allo stesso, mai così vasta: tutti gli atti di programmazione, cioè di scelta di decisione vera e tutti gli atti di controllo strategico sull’amministrazione, bensì dagli esiti nefasti del sistema elettorale che trasforma i consiglieri comunali della maggioranza in aspiranti assessori, prima e poi in aspiranti amministratori di una delle sempre più numerose società partecipate, con lucrose prebende. Nessuno ha espropriato i consigli comunali pertanto e l’intervento peggiore che si potesse fare è stato quello del ministro Lanzillotta, la quale scambiando il dito con la luna, invece che creare le condizioni per “costringere” i consiglieri a fare il loro lavoro ha pensato bene di ridurre il numero dei consiglieri comunali, l’unico vero baluardo rimasto, comunque di una democrazia reale nel Paese. L’assenza dei controlli, l’inerzia dei Consigli comunali , la Giunta che non è più un organo collegiale e gli assessori sono degli impiegati-manager scelti dal sindaco ha favorito il crearsi di una miriade di spa, con tanti presidenti, vicepresidenti, amministratori delegati, consigli di amministrazione, direttori, funzionari, favorisce l’emergere di connivenze con i poteri forti soprattutto delle costruzioni, il territorio viene cementificato, con progetti altamente speculativi, che creano profitti immensi. Tali profitti vengono investiti nell’acquisto di giornali e televisioni locali a sostegno del Sindaco. Si crea così sulle spoglie formali di un’istituzione legale , un sistema di potere di tipo neo feudale, che rappresenta l’evoluzione ultima della corruzione. In tale contesto i politici e gli amministratori bravi, capaci e responsabili, che pure ci sono ed anche in alcune realtà anche numerosi – si pensi a molti Sindaci in particolare di piccoli comuni sempre più penalizzati e bastonati da tutti i Governi, si trovino però, soli nella quotidiana dialettica dell’operare, senza il sostegno dei propri partiti dominati da i nuovi cacicchi dei potentati locali.
2.3.Gli effetti sul sistema dei servizi pubblici
2.3.1. Sanità. Nella sanità, mentre crescono i centri di alta qualità nel centro nord, rimane irrisolto, anzi si aggrava il livello dell’accessibilità dei servizi: chi si voglia operare in tempi “normali”, deve continuare a passare nello studio privato del primario, se non vuole aspettare mesi od anni.Per un cittadino italiano la malattia, specie se grave, rimane una occasione quasi certa di pesanti e gravi esborsi finanziari. Con un Fondo sanitario che ha superato i 100 miliardi di euro, e dopo aver pagato contributi sanitari e tickets, quasi nessuno, salvo gli appartenenti ai sistemi di potere ed ai loro clientes, ed alcune realtà molto circoscritte del Paese, riesce ad essere visitati, esaminati e curati in tempi “normali”, senza ricominciare a pagare.
La situazione è negli ultimi tempi degradata sotto il profilo della qualità Sono sempre più gli ospedali del Sud dove si è passati da episodi sporadici di malasanità a situazioni ed eventi nei quali non l’errore possibile, ma l’evidente imperizia e la disorganizzazione totale indicano un decadimento professionale tale da ritenere che per gli effetti di una corruzione sistematica con lauree in Medicina comprate o regalate e concorso “pilotato”, l’ignaro cittadino si trovi di fronte dei veri e propri “non medici”. In questi casi, che sono presenti anche del Centro nord, nelle realtà sane, la struttura dell’ospedale reagisce creando anticorpi: chirurghi che non hanno mai operato, confinati in uffici con incerte mansioni, medici del pronto soccorso sempre presidiati da un infermiere con il compito di non lasciarli mai soli, etc. Ma quando in una realtà cominciano a prevalere i “medici scadenti” o i “non medici”, i quali non avendo alcuna preparazione professionale non si possono interessare a garantire un minimo di accettabilità del servizio in cui operano, allora il sistema, piano piano, degrada fino al collasso e si cominciano a moltiplicare in maniera esponenziale i casi di malasanità, i quali per altro, sono sempre in numero maggiore di quelli resi pubblici, per i tentativi, spesso riusciti, di tacitare il fatto o di alterare l’andamento reale dei fatti, con la manipolazione delle cartelle cliniche.
2.3.2. Giustizia Nella giustizia ormai da vent’anni si aumentano i diritti e le prerogative della difesa senza occuparsi più delle vittime né della certezza della pena, salvo che per i ladruncoli di strada: per la giustizia civile la attesa riforma del giudice unico non solo non è basta a superare il collasso, ma si sono avuti dilatazione dei tempi sempre maggiori. Prevalgono sempre di più le logiche autoreferenziali, che facendosi scudo dell’autonomia della Magistratura, rifiutano di sottoporsi a meccanismi di valutazione. Il CSM è passato dall’essere organismo di auto gestione della magistratura a strumento di difesa corporativa dei magistrati. I poteri ispettivi non sono mai stati usati in maniera sistematica e puntuale per sottoporre a misurazione i carichi di lavoro dei magistrati – oltre 20.000 il numero più alto in Europa e per sottoporre a verifica la prassi dei rinvii continui, spesso per ragioni evitabili, che si risolvono in un favore solo per gli avvocati che vedono aumentare le proprie parcelle, ma non per il diritto alla Giustizia. Tali poteri vengono usati solo per bloccare procedimenti penali a carico del potente corrotto di turno, spesso membro del Governo.
2.3.3.Scuola e Università. La scuola istituzione centrale per il futuro sviluppo economico del paese, secondo la strategia di Lisbona si trova sballottata tra riforme e controriforme permanenti. Si smonta la scuola primaria l’unica che aveva raggiunto un livello di qualità più che accettabile per presunti risparmi. Le scuole superiori sono sempre un potenziale cantiere aperto ma vi sono notevoli segnali di insufficienza della funzione formativa. Le Università italiane si trovano in difficoltà finanziarie con una sempre minore attrattività del sistema didattico e con una qualità dell’attività di ricerca in molti casi da verificare. L’autonomia che la Costituzione riconosce alle Università era finalizzata ad assicurare quella libertà nell’insegnamento e nella ricerca, unica garanzia per conseguire sicuri risultati di qualità. L’autonomia non doveva però significare assolutamente una “zona franca” per i potentati accademici: un sistema che arricchisce con consulenze, incarichi, attività libero-professionali e società di comodo i singoli docenti ma che rende le università sempre più povere di risorse ed anche di qualità: assunzioni di familiari e di portaborse invece di veri ricercatori:tutto ciò deprime la qualità della didattica ridotta spesso a marginale e fastidiosa incombenza e deprime la ricerca, offuscata dall’interferenza di interessi e pratiche incompatibili con la stessa.E i rettori invece di intervenire fanno da garanti a tale sistema.
2.4.Gli effetti sugli apparati dello Stato
2.4.1. Fisco Dopo l’istituzione delle agenzie fiscali il rapporto cittadini fisco è migliorato con l’approvazione dello Statuto dei diritti del contribuente, che ha finalmente riconosciuto lo status di cittadino nei rapporti fiscali. Resta però sempre enorme la quota di imposte non pagate che gravano sui cittadini onesti e sui lavoratori dipendenti. Qui appare in tutta evidenza la differenza non teorica ma concreta tra razionalizzazione ed innovazione. Per combattere l’evasione fiscale, un fenomeno vasto e pervasivo che racchiude in se la sintesi dello scarso senso dello Stato e della diffusa cultura dell’illegalità, innovare non vuol dire solo riabbellire le sedi delle agenzie, ma cercare nuove strade per allargare al massimo il fronte degli alleati contro tale “mostro” che sottrae risorse e produce disuguaglianze: bisogna portare cioè dalla parte della legalità masse sempre più grandi di cittadini, rendendoli direttamente interessati del corretto adempimento fiscale. Ciò è noto si realizza introducendo su vasta scala il contrasto di interessi, cioè rendendo i singoli contribuenti direttamente interessati al rilascio di tutte le fatture e/o ricevute per qualsiasi esborso, dai ristoranti, agli alberghi, agli affitti, alle attività di collaborazione domestica, prevedendo riconoscimenti anche minimi di detraibilità, ampiamente però compensati dall’aumento del gettito. E poi realizzare in tempi rapidi la compartecipazione al gettito delle grandi imposte di Regioni, Province ma soprattutto i Comuni, sostituendo i residui contributi statali ad una quota dell’IRPEF: oltre 8.200 istituzioni, profonde conoscitrici della propria realtà economica, direttamente interessate al corretto comportamento fiscale, diventerebbero formidabili alleati contro l’evasione ed un esempio importante di una nuova cultura della legalità, contribuendo anche alla valutazione e alla verifica delle attività degli uffici finanziari e della Guardia di finanza;
2.4.2.Sicurezza Non c’è niente di più devastante per il senso civico, che assistere all’arroganza di chi commette reiterati delitti con la sicurezza dell’impurità, con le forze dell’ordine che rimpallano le responsabilità sulla Magistratura sul Governo e sul Parlamento.Milioni di anziani la notte si barricano in casa per la paura di essere rapinati da bande di malfattori perennemente a piede libero. Il numero di addetti alla tutela dell’ordine pubblico è in Italia il più alto in Europa, ma il 97% dei furti rimane impunito. Sono 328.368 effettivi tra carabinieri, polizia, guardia di finanza, corpo forestale e polizia penitenziaria. Con 571 addetti all’ordine pubblico ogni 100.000 abitanti l’Italia supera di gran lunga la Germania (321), la Gran Bretagna (268) e la Francia (227). Se si aggiungono i vigili urbani circa 60.000 che in Francia ed in gran Bretagna non esistono il differenziale con gli altri paesi diventa enorme.
2.4.2.1. Il problema dell’immigrazione. un problema specificatamente italiano Da ormai un decennio l’Italia è interessata da un flusso continuo e sempre in crescita di immigrazione. E’ un fenomeno che riguarda molti stati Europei, ma mentre nei principali Paesi: Inghilterra Francia Germania e Spagna, si sono attuate, pur in presenza di realtà molto diverse, sia politiche dell’accoglienza che dell’integrazione molto efficaci, anche se in parte oggi messe in discussione per il contagio nelle nuove generazioni del radicalismo islamico, in Italia il fenomeno appare diverso e di natura molto più grave. L’Italia ha chiesto, con pochi risultati, invero, alla Comunità europea di farsi carico degli aspetti di polizia internazionale legati ai flussi migratori irregolari. Ha provato a convincere i governi dell’altra sponda del mediterraneo a suon di miliardi a bloccare il flusso dei migranti dai Paesi dell’Africa nera. Alcuni risultati sono stati pagati con l’indegno istituto del respingimento. Il problema dell’Italia, che gli altri Paesi d’Europa non hanno, è che ci sono centinaia di migliaia di individui che vogliono venire solo in Italia. Accanto a uomini e donne che cercano nell’emigrazione in Italia un’occasione di ricongiungimento con parenti od amici per creare un futuro per sé e per le proprie famiglie o fuggono da guerre e distruzioni, ve ne sono molti altri che vengono in Italia, come novelli Pinocchio nel paese dei balocchi perché l’immagine consolidata nei racconti dei loro connazionali è quella di un Paese dove tutto è lecito e niente proibito, dove non si può non pagare il trasporto pubblico, si possono compiere piccole o grandi reati senza essere individuati e se arrestati o fermati è molto più facile scamparla, cioè uscire dal carcere e non obbedire all’eventuale foglio di via .
Le cause di ciò sono note: cinque polizie tra loro separate e qualche volta in concorrenza con orari di lavoro, però concentrati nelle ore mattutine, con una cultura della sicurezza ancorata non alla prevenzione ed al controllo permanente del territorio ma alle singole operazioni, utili e meritevoli, ma il giorno dopo le quali ricompaoiono le stesse brutte facce negli stessi posti. Così, non contenti di cinque polizie se ne aggiunge una sesta i vigili urbani, attribuendo ai Sindaci poteri di ordine pubblico e poi una settima, dislocando i militari nel territorio e poi un’ottava, istituendo le ronde di cittadini.
2.4.2.2..Regioni intere sotto il tallone delle mafie. Il disordine nella gestione della sicurezza è la causa fondamentale del permanere di insediamenti vasti e diffusi delle mafie non solo più nelle regioni meridionali, ma anche nelle metropoli del Norditalia. E’ stato calcolato che è di circa 130 miliardi di euro il fatturato di mafia, camorra, ‘ndrangheta e sacra corona unita nel 2008, con un utile che sfiora i 70 miliardi.
2.4.3.Lavoro nero Il lavoro nero ha ormai connotazioni endemiche: causa mancato riscontro contributivo e fiscale, turbativa delle logiche di mercato, penalizzazioni per le aziende regolari, vanificazione dei diritti salariali e previdenziali dei lavoratori, innesto nel tessuto produttivo di fenomeni di criminalità organizzata. In alcune Province il lavoro nero, depurato dalla quota del pubblico impiego, raggiunge cifre intorno al 70% del totale del lavoro dipendente. Ora, in quelle realtà sono presenti, prendono cioè servizio alle 8 di ogni mattina, decine, centinaia, forse migliaia tra agenti di polizia, carabinieri, guardie di finanza, Ispettori dell’INPS, dell’INAIL, degli Ispettorati del lavoro, vigili urbani, vigili sanitari tutti coordinati da Prefetti, Questori, Comandanti e Direttori Generali. Come è possibile che resistano percentuali così elevate ?
2.4.4. La cultura ancora prevalente negli apparati del Governo . Governare in Italia non significa quasi mai fare buone leggi da affidare poi agli apparati per la loro successiva attuazione. Le innovazioni, anche se presenti nell’attività legislativa, non producono spesso effetti perché la loro portata innovativa viene progressivamente annacquata in logiche di autoconservazione e autoreferenzialità con rinvii, interpretazioni riduttive, così da non turbare gli equilibri organizzativi e di potere: una sorta di muro di gomma che tutto assorbe. Ma il Governo viene giudicato‑ e giustamente‑ dai cittadini non solo per quello che indica nei programmi o per le leggi che fa approvare dal Parlamento, ma per ciò che concretamente cambia nel vissuto quotidiano degli uomini e delle donne di questo paese. Decisiva è allora la qualità dei materiali: regole ed uomini, cioè ordinamento e classe dirigente diffusa, Governo e strumenti. Qui nonostante notevoli mutamenti sostanzialmente non ci siamo: ancora troppo spesso l’inerzia storica che vanifica l’innovazione, lo Stato‑apparato che blocca lo Stato‑politica. Quando emergono problemi, la risposta degli apparati è sempre la stessa: le responsabilità sono di una legislazione insufficiente e quindi da adeguare, oppure vi è una carenza negli organici, da aumentare: mai un cenno autocritico. Quasi mai invece è vero che sia necessario cambiare la legislazione vigente che non risulta mai pienamente attuata.
Tale atteggiamento culturale si chiama familismo consociativo, una pratica per cui gli incarichi nelle istituzioni, vengono interpretati prioritariamente, non per realizzare le finalità assegnate dalle leggi, ma come occasione per gestire rapporti personali con gli interlocutori esistenti in vista delle proprie prospettive di carriera: si crea così una ragnatela di interessi privati che soffoca le istituzioni, con poche eccezioni.
Probabilmente anche a ciò si riferiva Antonio Gramsci quando parlava negli anni 30 del secolo scorso di cultura “eversiva” delle classi dirigenti in Italia, quale carattere distintivo dalle altre democrazie liberali europee come quella francese ed inglese. Dobbiamo rendere altresì, un doveroso omaggio ad Enrico Berlinguer che per primo, aveva, in suo famoso e lucido intervento del 1981, lucidamente denunciato che “in Italia, ormai, i partiti di Governo ‑ di allora‑ avevano occupato lo Stato e tutte le sue istituzioni, a partire dal Governo. Avevano occupato gli Enti Locali, gli Enti di previdenza, le banche le aziende pubbliche gli istituti culturali, gli ospedali le Università, la Rai tv alcuni grandi giornali. Tutto era lottizzato e spartito. Il risultato era drammatico. Tutte le “operazioni” che le istituzioni e i loro dirigenti erano chiamati a compiere venivano viste in funzione dell’interesse del partito o della corrente o del clan cui si doveva la carica: una autorizzazione amministrativa veniva data, un appalto veniva giudicato, una cattedra o un posto veniva assegnato per un atto di fedeltà a chi procurava quei vantaggi”, e non perché si era capaci o meritevoli. Ma tutto ciò non sembra sia servito a niente ed i peggiori emuli di tali comportamenti sono purtroppo proprio gli eredi del suo partito
3.Gli effetti sull’economia del Paese
3.1.La crisi di competitività del Sistema Italia. Anche senza la crisi globale dovuta al default dei mutui subprime, il sistema economico italiano da anni evidenziava una costante mancanza di competitività e di innovazione ed una sempre crescente difficoltà nel generare flussi significativi di investimenti, sia all’interno che dall’estero. Gli indicatori economici internazionali ce lo ricordavano ogni anno: nella classifica del World Economic Forum, per il sei anni consecutivi, nel 2008 il nostro Paese perdeva posizioni in questa speciale graduatoria, preparata combinando elementi di macroeconomia con una serie di rilevamenti di opinione tra manager ed imprenditori, che misura le potenzialità di crescita dei prossimi 5-8 anni. l’Italia era sorpassata nell’indice di competitività da Sud Africa e Cina ed è stabilmente preceduta da Corea, Singapore, Hong Kong, Repubblica Ceca, Cile e Tunisia. Inoltre, l’Italia risultava ultima tra i paesi industrializzati con la produzione industriale che ristagnava da otto anni. In nessun altro paese europeo si era registrata una così accentuata e prolungata contrazione della produzione industriale.
3.2 Le cause. La Pubblica amministrazione impedisce la crescita dell’economia L’economia italiana non può crescere perché mille vincoli normativi e amministrativi impediscono il cambiamento, l’ingresso di capitali e nuovi giocatori, l’utilizzo delle moderne tecnologie. L’investimento si concentra nei settori di rendita perché lì i rendimenti sono più elevati; i servizi sono inefficienti e costosi, il mercato del lavoro rigido e iniquo, la pubblica amministrazione disperatamente inefficiente. Mentre si è lasciata correre la spesa per i salari pubblici, gli acquisti della sanità e gli altri consumi pubblici, si sono tagliati gli investimenti per le infrastrutture, la ricerca e l’università. In queste condizioni, dare denaro alle imprese perché “facciano innovazione”, assumano, diventino grandi e quant’altro, senza cambiare i vincoli e gli incentivi che li guidano a comportarsi come si comportano, non serve a niente. La malattia più grave dell’economia italiana, è nelle istituzioni pubbliche e nelle regole che governano il funzionamento dei mercati. L’impresa resta piccola perché gli aiuti, i disincentivi fiscali e le regole del lavoro la spingono e restare piccola; la proprietà è concentrata, perché la pressione sociale sull’impresa è troppo forte per consentire all’imprenditore il rischio di aprire il capitale e affidare la gestione al management; aiuti, protezioni e vincoli sindacali mantengono il capitale in settori obsoleti, a discapito di quelli nuovi. Ma gli interventi per crescere riguardano soprattutto le istituzioni: servono legalità e buona giustizia, rapida e prevedibile negli esiti; chiare e semplici regole per l’avvio e l’esercizio dell’attività economica; severa tutela della concorrenza. Una politica povera, invasa da incompetenti e affaristi, continua a preferire istituzioni deboli e un ambiente di regole opache, perché lì è più facile scambiare favori alle imprese e gruppi di interesse con il sostegno al proprio partito, alle proprie clientele, alle ambizioni private.
4. Il ruolo regressivo dei sindacati confederali. I Sindacati confederali , in particolare la CGIL e la CISL hanno svolto nei primi trentenni della Repubblica un ruolo centrale per garantire che lo sviluppo dell’economia rispettasse la dignità del lavoro e per garantire le compatibilità del sistema economico e per sviluppare una democrazia forte nel paese. Personaggi come Lama e Carniti sono andati anche più in là, prefigurando con le loro azioni le loro idee un modello concreto di repubblica fondata sul lavoro, armonizzando e tenendo insieme le piattaforme sindacali delle diverse categorie, senza parlare del contributo per la lotta al terrorismo ed ai suoi fiancheggiatori. Ma con la crisi del sistema politico si è avviata una crisi altrettanto profonda che non appare perché le organizzazioni sono tenute in vita e risultano attive per le notevoli risorse di cui dispongono e per i servizi che erogano ai lavoratori ed ai cittadini. Ma il ruolo politico risulta sempre più inadeguato. Della riforma brunetta difendono il potere del sindacato di contrattare l’organizzazione degli enti, che è stato uno dei fattori principali di aumento spropositato dei costi e di degrado dei servizi. Per la crisi economica propongono solo più soldi per tutti, senza nessuna capacità di analisi dei disastri della P.A. e dei relativi costi aggiuntivi per le famiglie. Ma la cosa ancor più grave è la perdita della “confederalità” del tenere insieme le vertenze sindacali. Mentre un sindacalista tratta per mantenere il posto di lavoro agli operai di una impresa in difficoltà, con il dimezzamento dello stipendio cioè a 700 Euro al mese, il suo collega del pubblico impiego, nella stanza accanto tratta aumenti di migliaia di Euro dei premi??!!per i dipendenti del Comune o della ASL, senza connettere i due fatti tra di loro e soprattutto collegarli al fatto di una diminuzione del PIL del 6,5!!
5.Il ruolo regressivo del mondo cooperativo
Con la crisi mondiale del capitalismo finanziario riacquista una nuova centralità la cooperazione come modello culturale etico ed economico per indurre una nuova visione politica, economica e sociale ed una nuova strumentazione culturale per affrontare il futuro. In un Paese in cui le famiglie sono ostaggio della speculazione e della rendita l’impresa solidale ha davanti enormi praterie per svilupparsi, anche per sostenere le cooperative di consumo sotto il tiro della crisi, ma anche di una concorrenza agguerrita e d di grande capacità. C’è una crescente scarsità relativa di beni sociali, dove né il mercato né lo Stato riesce più a garantire. Tutte attività che costituirebbero anche un nuovo potente traino per le cooperative di consumo. Sarebbe proprio questo il terreno sul quale la natura genetica solidaristica e democratica del movimento cooperativo potrebbe trovare una rinnovata fioritura. Una immensa domanda potenziale da soddisfare in modi nuovi e decentrati ed sono occasioni per l’emergere di un’offerta di beni collettivi da parte di imprese sociali. Un’offerta che solleciti in forme non speculative la disponibilità dei cittadini a pagare beni e servizi fondamentali per il loro benessere, per la loro salute, per la loro sicurezza, in modo immediato, visibile e percepibile. Ma non è successo niente di tutto ciò. Viene il dubbio che la cooperazione italiana non sia attualmente idonea a svolgere tale ruolo. Probabilmente il gruppo dirigente della Lega è più in assonanza con le strategie e con la cultura del capitalismo finanziario che stava dietro l’operazione Unipol, che su un rilancio dell’etica dell’economia cooperativa. Un gruppo dirigente quello della cooperazione troppo prossimo a quello del Pd, per non averne mutuato gli aspetti patologici.
6. Lo stato delle famiglie
6.1 La nuova povertà delle famiglie I dati diffusi dall’Istat sulla povertà in Italia mettono impietosamente in rilievo come il fenomeno della povertà – che riguarda 8 milioni di persone nel nostro Paese – si concentri e si acutizzi nella parte meridionale del Paese. Osserva l’Istat che l’incidenza della povertà nel Mezzogiorno è quasi cinque volte superiore a quella che si registra nel resto d’Italia. Nel 2008 si è collocato sotto la soglia di povertà un nucleo familiare composto da due persone la cui spesa mensile sia risultata inferiore al valore medio per individuo di 1.000 euro.. La fotografia ritrae l’Italia dell’anno scorso, in una fase in cui il Paese non era ancora stato investito dall’onda d’urto della crisi Il secondo fattore critico è rappresentato dal fatto che la mappa della povertà disegna una domanda interna statica o in declino, dunque un handicap consistente per le nostre possibilità di rilancio economico.
6.2. Le nuove incombenze delle famiglie Tali dati confermano che nel nostro Paese il peso dell’assistenza alla popolazione che invecchia ricade quasi del tutto sulla famiglia. O meglio, sulle donne e in particolare sulle figlie adulte. Che sempre più ricorrono ai servizi delle immigrate. Ora le nuove norme sull’immigrazione sono un’ulteriore conferma che lo Stato italiano è poco attento ai veri problemi delle famiglie. Non solo le abbandona sostanzialmente a se stesse Ma rende anche più difficile e complicato il ricorso alle risposte che, con difficoltà, tentano di darsi da sole. Per esempio, tramite le cosiddette “badanti”.
Più che altrove le famiglie italiane sono sole: sono meno aiutate dalle politiche sociali, e quindi più sovraccariche di responsabilità nei confronti dei propri membri più deboli, e spesso sono anche maggiormente indotte a fare un passo indietro rispetto a importanti scelte di vita. È, del resto, un dato di fatto ampiamente riconosciuto che siamo uno dei paesi avanzati con sistema di welfare più obsoleto, meno in grado cioè di proteggere dai rischi e di promuovere scelte virtuose nella popolazione. Non a caso ci troviamo con occupazione giovanile tra le più basse e una delle peggiori combinazioni nell’area Ocse tra fecondità e partecipazione femminile al mercato del lavoro.
6.3 Le famiglie ostaggio della speculazione e della rendita In una società dove il presente domina sul progetto del futuro,tende a prevalere la ricerca del vantaggio economico immediato attraverso un atteggiamento sostanzialmente speculativo dello scambio economico, che prevale sulla creazione di ricchezza reale. L’indicatore più efficace del prevalere dell’immediato e del presente rispetto all’immaginazione del futuro è il dominio della realizzazione della possibile rendita, rispetto all’investimento che crea lavoro e profitto, in altre parole valore aggiunto.Pur vivendo in una repubblica fondata sul lavoro di fatto le famiglie italiane nell’accesso ai beni di consumo e di investimento ed ai servizi fondamentali incontrano quasi esclusivamente tipologie di organizzazione di tali servizi sia privati che pubblici che assomigliano più alla rendita, cioè operano in un mercato non concorrenziale se privato o non controllato se pubblico.
Le maggiori spese “obbligate” che riducono il potere d’acquisto per le famiglie italiane sono le seguenti:
- la casa, il cui costo per l’acquisto è, negli ultimi 6 anni aumentato, mediamente del 75%, cinque volte più del tasso di inflazione, cioè del costo di costruzione delle case, con una percentuale fino al 100% per la locazione; tutto ciò grazie all’abolizione dell’INVIM perché così si sarebbero ridotti i prezzi delle case. Invece il venir meno per il venditore dell’obbligo di pagare l’imposta al notaio fece schizzare i prezzi in alto tutti insieme. Con arricchimenti inauditi per i palazzinari romani che per non pagare poi l’imposta facevano fallire le società una dietro l’altra. Ricucci nella scalata alla BNL vantava una disponibilità in termini di miliardi di Euro!!!
- I carburanti. Questa è l’esperienza più odiosa che vivono gli automobilisti quotidianamente, con i prezzi che salgono subito, con l’aumento del petrolio e scendono sempre molto lentamente;
- La salute per la quale , grazie a meccanismi consociativi che hanno determinato, nonostante il più alto numero di medici nel mondo , la carenza di personale per le visite ambulatoriali, per riuscire a farsi visitare e curare ci vogliono circa 1.400 Euro annue per famiglia.
- I servizi sociali che ormai sono a carico delle famiglie perché una quota sempre più elevata di tali fondi è destinata a personale e non ai servizi da Comuni e Regioni
- Assistenza odontoiatrica. L’assistenza odontoiatrica protesica ed ortesica, è lasciata quasi ovunque completamente alla iniziativa privata,con oneri economici notevolissimi e spesso insostenibili per larghe fasce di cittadini. L’alto costo di interventi riduce altresì i tempi e le occasioni per la prevenzione: si accede sempre di più agli studi dentistici solo quando si hanno gravi problemi o patologie in atto. I prezzi sono tenuti artificiosamente alti dal più vasto diffuso sistema di “collusione oligopolistica” Nelle poche ed osteggiate realtà dove sono stati realizzati da parte delle ASL servizi di assistenza odontoiatrica protesica ed ortesica si sono avuti infatti normalmente abbattimenti di costi per l’utenza dell’ordine del 70%.Per milioni di anziani oggi una protesi totale significa quasi un anno di pensione
7.La qualità dell’azione di governo
7.1.L’inadeguatezza dell’azione dell’attuale governo. Un governo nato per la politica del fare rispetto all’immobilismo del precedente governo ed ai disastri epocali delle Giunte della Campania, ha realizzato alcuni risultati apprezzabili e visibili: la strade di Napoli ripulite, una risposta pronta al terremoto, la lotta ai fannulloni.
Ma la risposta alla crisi economica è palesemente insufficiente, in quanto si guarda bene da tagliare gli sprechi e le rendite. In cambio si ridimensiona pesantemente la scuola primaria mentre l’Europa e la ragione ci direbbero che lì è la base di un nuovo vero sviluppo e adotta provvedimenti casuali sull’Università. Il presidente del consiglio rimprovera le famiglie perché non spendono esortandole all’ottimismo disinteressandosi dei problemi veri delle imprese di quelli delle famiglie, dimostrando così anche un distacco dalla base elettorale che lo aveva sostenuto all’entrata in politica e che continua a malavoglia a sostenerlo per paura che torni al governo la precedente coalizione. Regala 5 miliardi alla Libia non richiesti perché neppure necessari -la Libia è uno dei paesi più ricchi al mondo- e sottraendoli alla spesa sociale per garantirsi che siano ditte italiane a costruire l’autostrada. Un terzo del Paese rimane tuttora incapace di sviluppo autonomo con una classe che necessità di sempre maggiori risorse non per lo sviluppo, ma per mantenere elefantiaci apparati clientelari; un’etica pubblica in declino e livelli di corruzione superiori a quelli dei Paesi cui ci confrontiamo. Un governo che per ridurre l’immigrazione clandestina, invece che riformare gli apparati della sicurezza per farli finalmente funzionare inventa nuovi reati- e nuove azioni che violano il diritto internazionale ed esporranno l’Italia al biasimo di tutti i Paesi liberi per moltissimi anni
Ma all’interno del Governo c’è una forza politica, la quale in una formale logica di coalizione porta avanti con estrema decisione un programma proprio che è quello della progressiva autonomia delle Regioni del Norditalia dal resto del Paese. Un disegno già realizzato in buona parte: la legge sul federalismo fiscale lega la fruibilità dei diritti fondamentali di cittadinanza alle risorse delle diverse Regioni. Poiché è l’unico partito che ha una classe dirigente in permanente contatto con i propri iscritti detta i temi dell’agenda politica e li impone nel dibattito.
7.2. Le proposte del Ministro Brunetta Era da tempo palpabile il risentimento profondo, diffuso e palpabile nella gente comune, contro la massa dei dipendenti pubblici in genere privilegiati ed in particolare con gli assenteisti che vedono a spasso nel bar sotto casa. Le campagne contro i fannulloni hanno conseguito successi incredibili. Prima aveva iniziato il prof. Ichino affermando che “ogni posto occupato da un fannullone è un posto in meno per un precario o un disoccupato, spesso giovane con competenze e dedizione superiori”. Poi è arrivato il “ciclone” Brunetta che è ripartito nella campagna contro i “fannulloni” , ed ha realizzato una nuova normativa La legge 15 e la proposta di decreto attuativo contengono aspetti decisamente positivi La ridefinizione degli ambiti della contrattazione collettiva, dalla quale vengono escluse, come è giusto, materie quali l’organizzazione degli uffici. Il rafforzamento del vincolo di bilancio sulla contrattazione integrativa: a quest’ultima è imputabile buona parte della crescita della spesa per il personale nell’ultimo decennio. Le misure in materia di sanzioni disciplinari e di responsabilità dei dipendenti pubblici
Particolarmente positiva è certamente l’affermazione del principio della trasparenza, intesa, “come accessibilità totale, anche attraverso lo strumento della pubblicazione sui siti istituzionali delle amministrazioni pubbliche, delle informazioni concernenti ogni aspetto dell’organizzazione, degli indicatori relativi agli andamenti gestionali e all’utilizzo delle risorse per il perseguimento delle funzioni istituzionali, dei risultati dell’attività di misurazione e valutazione (…), allo scopo di favorire forme diffuse di controllo del rispetto dei principi di buon andamento e imparzialità”.
Sulla valutazione strumento decisivo per ottenere il miglioramento della qualitælt;br /> si crea un nuovo organismo, la “Commissione per la valutazione, la trasparenza e l’integrità delle amministrazioni pubbliche”, un organo collegiale composto da cinque componenti, la cui spesa, valutata in 4 milioni di euro. Nelle singole amministrazioni agiranno, sulla base di modelli forniti dalla Commissione, i nuovi “Organismi indipendenti di valutazione della performance”, destinati a sostituire gli attuali servizi di controllo interno e la valutazione si effettua non sui servizi , ma sui singoli dipendenti. Un sistema centralistico, che non può realisticamente governare un mondo così variegato come quello delle amministrazioni pubbliche, non funziona. Non basta rinominare i nuclei di valutazione Organismi indipendenti per assicurarne l’indipendenza, né sottoporre i componenti al parere della commissione: è necessario istituire la terzietà rispetto all’Ente, tramite il sorteggio. Tale architettura sembra più finalizzata a creare un formidabile strumento di potere nelle mani del Ministro che avere una reale utilità pubblica. ma l’aspetto più critico è quello della dirigenza. Si riafferma per l’ennesima volta in testi normativi la responsabilità del dirigente, ma non si interviene per rimuovere gli ostacoli per far sì che il dirigente faccia realmente il dirigente e cioè assicurare con norme cogenti la piena esclusività superando finalmente il privilegio feudale del tempo unico per i medici ospedalieri, ma anche le attività di consulenza di arbitrato di insegnamento che per molti magistrati e docenti universitari rappresentano la vera attività , causa non secondaria del la progressiva perdita di qualità di tali istituzioni. Resta difficile comprendere come un magistrato che insegni in una scuola privata per 80-90 giorni l’anno possa assumere la figura del datore di lavoro all’interno della pubblica amministrazione. Si corre dietro ai fannulloni mentre i dirigenti del sistema pubblico, che tutti affermano di voler ridurre, aumentano al ritmo di 1.500 unità l’anno, con un costo attuale stimato, per difetto, in quasi 20 miliardi di Euro
7.2. La maggiore inadeguatezza dell’attuale opposizione L’aspetto più grave del contesto politico del Paese non è l’insufficienza dell’azione del Governo ma l’assenza dell’opposizione. Il rischio maggiore per una democrazia non è avere un leader populista ma un’opposizione completamente afona sui problemi delle famiglie, dell’economia, delle istituzioni. Le proposte per uscire dalla crisi sono banali come le azioni del Governo Prodi. Nessuno è riuscito a fare proprie le parole del Presidente Napolitano per le quali solo con più giustizia sociale si potesse uscire dalla crisi. Tutto il gruppo dirigente auspica quotidianamente riforme non si sa bene di cosa e di chi. E così assistiamo, quotidianamente ad amministratori democrat che attaccano giustamente il premier per la vacuità sostanziale della sua azione politica, per i suoi in comportamenti sessuali discutibili, per il suo disastroso conflitto di interessi che blocca le istituzioni e la libertà di stampa, ma poi hanno la moglie, il figlio, la figlia e la nuora e spesso anche l’amante assunta dal sistema degli enti pubblici del loro territorio- quest’ultima non pagata per una notte con soldi propri, ma messa per quarant’anni a carico dell’erario, cioè dei cittadini-. Così si perde definitivamente credibilità nei confronti dei cittadini, che sono portati a pensare che, nonostante tutto, Berlusconi sia ancora, il meno peggio e non come è in realtà un disastro quotidiano per l’economia e per la società italiana. Un grande intellettuale del secolo scorso, Walter Binni, rappresentò perfettamente le caratteristiche del politico democrat segnalando che il pericolo maggiore del tempo presente era il “nuovismo” senza ideali, leggero, quando non evanescente nei contenuti, conformista e saldamente attaccato alle nuove occasioni di potere, lontanissimo da quell’esigenza di vera “innovazione” fatta di solida cultura, profonda esperienza, determinata volontà morale; lui che di “innovazione” si intendeva avendo realizzato, insieme a Aldo Capitini, i Centri di Orientamento Sociale (C.O.S.), l’esperienza sicuramente più innovativa nella ricostruzione del tessuto democratico nel dopoguerra in Italia. “L’innovazione affronta i meccanismi strutturali, oggettivi della dialettica sociale ed incide su di essi per modificare la realtà e avviare nuovi e più moderni processi sociali e politici; il “nuovismo” si limita a sostituire il “vecchio” quadro politico e amministrativo con il “nuovo”, cioè se stessi: un’operazione la quale, oltre a risultare inefficace quando non dannosa, denuncia un livello di povertà di cultura politica desolante e perciò inefficace”.
7.3. L’omologazione progressiva degli schieramenti politici. Nella politica appare, poi, essersi realizzata una convergenza tra “conservatori” e “progressisti”, cioè un’omologazione sostanziale delle politiche. Il primo a segnalare questo fenomeno fu il Cardinale Martini in una omelia di qualche tempo fa: la difesa degli interessi dei gruppi forti con la conservazione dei privilegi di quelli che li hanno già, con l’affievolimento di vigore nel sostenere i diritti sociali, dove brillano provvedimenti a tutela delle corporazioni approvati da entrambi gli schieramenti. In un sistema dove gli appartenenti agli apparati pubblici e delle professioni costituiscono la percentuale più alta degli iscritti e dei dirigenti di gran parte dei partiti di entrambi gli schieramenti, è difficile che emergano come priorità effettiva l’eliminazione dei privilegi diffusissimi e trovino reale ascolto i bisogni dei ceti deboli. Poi si è rilevato che «lo stile» della politica sia lo stesso di entrambi gli schieramenti, uno stile fatto innanzitutto di somiglianze segrete e di realtà accuratamente nascoste. Come il declino della competitività che dura da metà degli anni ‘90 sotto qualsiasi governo, o l’occhio di riguardo per i dipendenti pubblici, sistematicamente protetti da tutti i governi dell’ultimo decennio. O la disattenzione verso il mondo delle imprese e le riforme che hanno devastato il mondo della scuola, l’occupazione della sanità, della Rai, delle aziende municipalizzate, dei mille enti inutili da parte di un esercito di mestieranti della politica. Da tutti questi fondamentali punti di vista non c’è stata alcuna rottura importante fra i vari governi di destra e di sinistra, ma solo una ferrea continuità.
8. Un nuovo patriottismo civico
8.1. No all’”antipolitica”. La centralità dei partiti per il rilancio civile, morale ed economico dell’Italia non è in discussione La democrazia dei moderni è una democrazia dei partiti, nasce e si sviluppa con loro. Ma oggi nella realtà in cui viviamo in questo frangente storico partiti politici che operano nel panorama nazionale non svolgono però la loro fondamentale funzione di collegamento fra governati e governanti, aggregando sulla base di una visione comune le domande emergenti dalla società civile e, operandone una sintesi, per trasferirla nell’apparato statale, in modo da consentire scelte collettive semplificate e strutturate. Oggi, pertanto, iscriversi ad un partito vuol dire inserirsi in un circuito di cinismo morale senza alcun esiti, vuol dire escludersi da coloro che vogliono provare a riaccendere il futuro del paese.
8.2. La crisi irreversibile dell’attuale modello di Stato sociale in Italia La società italiana in cui oggi siamo chiamati a vivere è una sorta di ibrido fra i sistemi castali orientali, un capitalismo protezionistico, una giungla di apparati di Stato che difendono i loro privilegi, e una società civile ridotta a fare da esercito della salvezza per rimediare ai guasti, alle ingiustizie, ai disastri che emergono di giorno in giorno. Parlare di bene comune in questa società è davvero oggi un compito improbo. Ma la conclusione di tali valutazioni è ancora più traumatica: oggi le pubbliche istituzioni nella loro grande maggioranza non perseguono quale obiettivo primario il bene comune ma gli interessi dei propri apparati.
8.3.Il principio di responsabilità faro della democrazia. I cittadini attivi di Cittadinanzattiva vogliono che la politica torni ad essere grande, che essa non sia dettata dal piacere personale per la gestione del potere, bensì dal dovere che si ha di compiere, una determinata azione per le generazioni che verranno, indipendentemente dalle forze politiche che in avvenire governeranno. E’ necessario riaffermare nella cultura politica il Principio di Responsabilità, che cioè il servitore dello Stato non ha da coltivare speranze utopiche e tanto meno speranze rivoluzionarie. Le istituzioni elettive sono il primario bene comune di una democrazia. Ma se le istituzioni non funzionano, se gli eletti non si curano di portare nelle istituzioni la tutela degli interessi che dovrebbero rappresentare, ciascuno secondo il proprio patrimonio ideale e politico, comunque finalizzato al raggiungimento del bene comune o se usano le istituzioni per costruire sistemi di potere personale o comitati di affari per rapinare le risorse del proprio territorio, essi concorrono pesantemente ad affossare ogni giorno di più il principio stesso della democrazia, in modo analogo al tanto esecrato populismo, anzi ne confermano le vere cause che sono quindi più profonde e vaste dell’infatuazione di massa per un imbonitore mediatico senza alcun senso dello Stato.
9. Le possibili iniziative.
9.1 La supplenza civica dell’opposizione democratica L’iniziativa è quella di applicare la sussidiarietà di cui all’art.118, 4° comma, all’azione politica sostituendosi agli attori afoni della non politica della attuale opposizione, con proposte che ridiano dignità ed efficacia alla politica. Si tratta di diventare protagonisti su tutti i temi centrali indicati, con proposte puntuali di miglioramento che riguardino tutti gli aspetti della vita sociale culturale ed economica, dal SSN alla Scuola all’Università, ma anche sulle riforme istituzionali, da quella dei Comuni al quella del federalismo fiscale a quella della P.A., ma anche proposte che vadano ad aumentare il potere di acquisto delle famiglie, contrastando le quotidiane rapine della speculazione e della rendita, rilanciando la produzione di servizi da parte della economia solidale, cioè la cooperazione. Bisogna, cioè, recuperare per Cittadinanzattiva il suo ruolo originario, quello di stare alle radici dell’erba, vicino alle famiglie italiane, per ascoltare i loro bisogni ignorati, le loro aspettative disattese, per ricreare fiducia nelle istituzioni repubblicane. Ridare dignità all’azione politica, come strumento per cambiare le cose sempre in meglio e non come acquiescenza allo statu quo.
9.2 Le necessarie alleanze Nel Paese sono presenti migliaia di organizzazioni diverse per impostazione ideale, per finalità, per attività che condividono il disagio nei confronti dello stato del Paese. Si tratta di organizzazioni di volontariato cattolico, di associazioni di consumatori, di associazioni ecologiste, di associazioni di amministratori locali. L’obiettivo è quello di elaborare un Manifesto di condivisione dell’analisi dello stato delle cose ed operare ciascuna nel proprio ambito, ma legate insieme dallo stesso obiettivo cioè quello di creare nel Paese un nuovo patriottismo civico che si proponga seriamente e coerentemente di riaccendere il futuro di questa nostra patria, martoriariata quotidianamente da una classe dirigente che ha perso da tempo il senso del bene comune e dell’interesse generale.
Firenze 5 settembre 2009 Paolo Baronti