La relazione di Giustino Trincia : “Cittadinanza globale, Europa federale e Sostenibilità”
Care amiche e cari amici,
è per me una gioia essere qui con voi e desidero subito ringraziare le segreterie regionali delle Marche, della Toscana e dell’Umbria che hanno promosso ed organizzato questo prezioso spazio pubblico di riflessione e per avermi invitato.
Venendo qui ho provato la sensazione di fare un tuffo nel passato e uno nel futuro. Nel passato perché il pensiero è andato immediatamente a quei primi seminari – sto parlando dei primi anni ’80, quasi trenta anni fa – promossi dal Movimento tra le colline umbre. Quei seminari andavano al di là della pur preziosa occasione di riflessione, di ricerca e di immersione nei grandi processi di sviluppo in atto nel mondo. Infatti, essi costituivano pure occasioni di condivisione, di conoscenza e d’incoraggiamento tra tutti noi, per una impresa civica che doveva ancora realizzarsi tutta negli anni a venire, come poi in effetti è avvenuto, fino ad approdare, negli ultimi undici anni, alla dimensione europea.
Essere qui è anche fare un tuffo nel futuro. Si, perché mi sembra che quello che anima maggiormente questa due giorni sia proprio il desiderio di volgere lo sguardo all’orizzonte e oltre l’orizzonte, di concentrarsi sul futuro piuttosto che sui ricordi belli o brutti che siano che hanno tracciato la strada fin qui percorsa. La necessità impellente che tutti noi sentiamo è infatti quella di riuscire a cogliere l’attualità e l’utilità di una straordinaria esperienza d’impegno civico che va ben al di là dei confini squisitamente giuridici, amministrativi ed organizzativi di una singola organizzazione civica come la nostra. Ben vengano dunque tutti gli appuntamenti utili a comprendere meglio il significato profondo della nostra presenza e dell’impegno civico in generale, in una epoca segnata dai più grandi cambiamenti degli ultimi cinquanta anni.
Per guardare con fiducia al futuro, occorre superare quei sentimenti di paura e d’incertezza che oggi sembrano dominare incontrastati e che negli ultimi dieci anni si sono rafforzati a causa di almeno tre fenomeni ampiamente noti, densi di eventi spesso drammatici. Mi riferisco:
– alla crescita e la forza del terrorismo internazionale, con il simbolo dell’11 settembre 2001;
– all’affermarsi di quella globalizzazione, soprattutto nel campo economico e delle comunicazioni, in grado di tenere insieme una pluralità di condizioni di vita e di lavoro, nelle quali spesso sembra essersi persa di vista la centralità della dimensione umana;
– alla gravissima crisi mondiale del triennio 2007-2009, una crisi non solo economica ma dell’intero sistema, perché è una crisi anche energetica, ambientale, alimentare, politica, culturale e sociale e che, a detta di molti autorevoli osservatori, dimostra l’insostenibilità del modello di sviluppo imposto dal mondo occidentale.
Temo che nessuno di noi possa dirsi estraneo alla paura di non farcela a difendere ciò che si è conquistato come cittadini, come padri e come madri, come studenti, come lavoratori, direi anche come cittadini attivi, se è vero che in servizi nevralgici come la sanità, la previdenza, la scuola, il credito e il risparmio, la giustizia, stiamo sperimentando il grande paradosso di un numero crescenti di diritti riconosciuti sulla carta e in via di principio che si rivelano poi, nella realtà, sempre più difficili da far rispettare. Le nostre Relazioni annuali sulla salute, sui servizi di pubblica utilità, sulla sicurezza, sulle scuole, registrano da anni questo fenomeno.
Siamo tenuti o meno, da parte nostra, a dare un contributo ed eventualmente quale, per superare la paura e l’incertezza che bloccano e fanno regredire le nostre società?
Per noi è molto difficile poterci sottrarre ad una simile responsabilità e ciò per almeno due ragioni. Perché nel dna di Cittadinanzattiva è iscritto, fin dal 1978, il compito di essere un attore dei processi di liberazione e di sviluppo umano e perché questi sentimenti, la paura e l’incertezza, nascondono in realtà una grande sfiducia sulle reali possibilità della cittadinanza attiva di contribuire in maniera decisiva alla costruzione di un futuro fatto di sviluppo, di democrazia e di solidarietà.
Basta leggere con attenzione la nostra Carta d’Identità per capire che anche noi dobbiamo uscire dal torpore e dare il contributo che possiamo dare in questa direzione. Questa Carta d’Identità bisognerebbe rileggerla con attenzione e diffonderla adeguatamente tra i nostri aderenti, tra gli interlocutori e i possibili alleati del Movimento, per far capire meglio, senza sentirsi superiore a qualcuno, che non solo non siamo solo una associazione dei consumatori e degli utenti ma che siamo comunque un’associazione sui generis, portatrice di un suo messaggio molto specifico.
Quale contributo allora noi possiamo dare? Dobbiamo anzitutto rilanciare quel binomio movimento e cambiamento che è stato alla base dei migliori successi della nostra storia. Noi non siamo nati per gestire solo l’esistente, per sopravvivere a noi stessi, per fornire una rozza base empirica a qualche illuminista del XXI secolo, non siamo nati per vivacchiare o per vivere di rendita sul prestigio e la credibilità conquistati con il lavoro di molti, non siamo nati per costruire nuove strade per vecchie carriere altrimenti impossibili. Noi siamo nati invece per contribuire a mettere in condizione i cittadini di esercitare i diritti, i doveri, i poteri e le responsabilità che sono condizioni indispensabili per costruire una sviluppo davvero umano, riformando, per questo obiettivo, il modo stesso di fare politica, di fare impresa, di fare rappresentanza. Per riuscirci noi sappiamo bene che occorre mobilitare i cittadini puntando sullo sviluppo della democrazia e sull’affermazione di una cultura laica in grado di contrastare ogni forma di laicismo e ogni tipo di relativismo che ponga ai margini la crescita e lo sviluppo delle persone, dei cittadini e delle comunità. Ed è proprio di tutto questo, quello di cui oggi si avverte di più la mancanza.
Questo tempo di profonda crisi, in realtà è un tempo di grandi opportunità e di grandi speranze. Lo dimostrano, su tutto, l’elezione del Presidente Obama negli USA e i suoi primi sette mesi di attività. I segnali per la pace, per il disarmo nucleare, per assicurare l’assistenza sanitaria a quei 50 milioni di americani che ne sono sprovvisti, il radicale cambiamento di rotta della politica americana in campo energetico, come per la lotta all’evasione fiscale (basta chiederlo alle banche svizzere). Il tentativo di riforma del sistema finanziario americano e delle sue modalità di governo, entrambi collassati, dopo venti anni di liberismo incontrollato. Ebbene, non sono queste delle prove che le opportunità per cambiare ci sono anche e soprattutto in tempo di crisi?
Dobbiamo però darci degli obiettivi molto chiari e adeguatamente condivisi, a breve, medio e lungo termine, attraverso la partecipazione attiva del più ampio numero di singoli cittadini, di gruppi, di associazioni che operano nel Movimento e/o che ad esso guardano con sincera attenzione e rispetto. Occorrono obiettivi dotati di un adeguato respiro, cioè di un insieme di ideali, di principi, di valori, senza il quale nessuno – sia esso un partito, un sindacato, un’associazione, una chiesa – può illudersi di riuscire a mobilitare con continuità i sentimenti, le coscienze e le intelligenze diffuse, ben presenti nelle nostre società.
Pensando al ruolo che in questa cornice il nostro Movimento potrebbe svolgere insieme ad altre Organizzazioni civiche, vorrei provare a proporre, a titolo esclusivamente personale, tre possibili obiettivi generali, scusandomi anticipatamente se si potesse fraintendere questo tentativo, con la volontà d’imporre qualcosa di nuovo o in aggiunta al già tracciato.
Questi obiettivi sono la promozione della cittadinanza globale, l’Europa federale e la sostenibilità.
I – La cittadinanza globale
I forti conflitti che la questione immigrazione suscita da anni ovunque, manifestano i limiti del modo tradizionale di affrontare il tema più generale della cittadinanza. Continuare a parlarne, prescindendo dai profondi cambiamenti introdotti negli ultimi trenta anni dalla globalizzazione, significa precludersi ogni possibilità di gestire e di superare conflitti spesso fomentati da una ignoranza e da una demagogia davvero pervasive.
L’introduzione del reato di clandestinità nel nostro Paese con il recente pacchetto sicurezza, come l’adozione forzata del principio del respingimento verso i Paesi di partenza dei molti sciagurati che cercano disperatamente l’approdo in Italia, costituiscono a mio modesto avviso un grave arretramento di quella cultura giuridica ed umanitaria italiana da sempre apprezzata nel mondo. Voglio essere molto chiaro non ne faccio una polemica fine a se stessa contro questo Governo, perché i problemi a partire dai quali si è cercato di legittimare questo tipo di misure sono seri e sono complessi e segnano gravi ritardi e carenze nella riflessione e nell’intervento a livello sia nazionale che europeo. Non ho alcun dubbio che legalità ed accoglienza debbano essere garantiti contestualmente e che si debba assicurare sicurezza ai molti cittadini che sono molto preoccupati dagli immigrati che identificano con la criminalità o con la riduzione di posti di lavoro agli italiani[1]. Secondo la Banca d’Italia[2], tra l’altro, non è vero che gli immigrati tolgano lavoro agli italiani. Sono essi, invece, ad aumentare le opportunità di una occupazione più qualificata agli italiani, sempre meno disponibili per una serie di lavori gravosi, e a favorire l’accesso delle donne italiane nel mondo del lavoro, grazie al sostegno che ricevono da badanti e baby sitter di altri Paesi.
Secondo i dati più recenti dell’Ocse stima che tra i 500 e i 750.000 immigrati clandestini (l’1,09% della popolazione italiana e il 25,6% di tutti i residenti stranieri), perché non hanno permesso di soggiorno. La Caritas sostiene che si tratti almeno di 1.000.000 di persone, mentre il Ministero degli Interni ha stimato in 750.000 le colf e le badanti interessate alla sanatoria che ha preso avvio dallo scorso 21 agosto. Mi chiedo se sia stato così difficile immaginare il disagio e la paura di chi sa di non essere a posto con la legge e teme cosa potrebbe accadergli in caso di malattia, di un incidente sul posto del lavoro, o di necessario ricovero in ospedale. E come non rendersi conto dei disagi e dei problemi relativi di quelle centinaia di migliaia di famiglie italiane che hanno dovuto fare ricorso ad una badante, non potendosi accollare gli altissimi costi e le liste di attesa dei servizi socio sanitari pubblici e privati? Perché imporre la necessità di esibire il permesso di soggiorno per tutti gli atti di stato civile e per l’accesso ai servizi esclusi quelli che riguardano le cure sanitarie e le scuole dell’obbligo? Perché dunque rischiare d’indurre facilmente quanti non sono in regola a non iscrivere i propri figli agli asili nido o alle scuole dell’infanzia, accentuando così il rischio di aumentare quel triste fenomeno della “invisibilità” dei bambini extracomunitari? Perché poi far pagare un contributo che varia tra gli 80 e i 200 € per il rilascio e per il rinnovo di ciascun permesso di soggiorno e che per questo tipo di persone possono corrispondere anche a mezzo stipendio? Per inciso, dalle 750.000 domande previste per la sanatoria, con l’ulteriore contributo una tantum delle famiglie di 500 €, è stimato, sempre dal Ministero dell’Interno, un introito complessivo per lo Stato di oltre un miliardo di euro! E cosa dire, infine, della norma che interrompe la regolarizzazione per quegli immigrati che a causa della crisi perdono il proprio posto di lavoro?
Per affrontare paure vecchie e nuove che accompagnano un fenomeno di scala mondiale come quello dell’immigrazione, è indispensabile agire sul piano anche culturale. Sta qui l’importanza, direi l’urgenza, della educazione alla cittadinanza globale. E’ proprio su questo piano che le organizzazioni civiche come la nostra, possono dare un notevole contributo, promuovendo un indispensabile nuovo approccio culturale, per far comprendere che nell’era della globalizzazione, tenere così separate le due parole – cittadino ed immigrato – è del tutto anacronistico. L’educazione alla cittadinanza globale sembra essere la strada giusta non solo per prevenire e gestire le possibili chiusure, ma pure per responsabilizzare tutti i cittadini, gli stessi immigrati, al dovere della reciprocità nel rispetto dei diritti, dei doveri, dei poteri e delle responsabilità di ognuno.
In questo periodo ho compreso che l’humus naturale in cui si può collocare il tema della cittadinanza globale è la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, approvata e proclamata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948, ben 61 anni fa. In quei 30 articoli è presente la scelta lungimirante, direi profetica, per quel principio dell’universalità dei diritti per tutti gli individui, in base al quale tutti gli uomini e le organizzazioni di buona volontà, amanti del diritto e della giustizia, dovrebbero impegnarsi per promuoverne e tutelarne l’accesso per ogni cittadino del mondo.
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Il ruolo dell’educazione Non dobbiamo lasciare nell’ombra o dare per scontata quella parola, educazione, che precede le parole “alla cittadinanza globale” e sulla quale importanti e recenti contributi si possono trovare anche tra le attività della Commissione Europea. Secondo molti “solo dall’educazione (….) può nascere un cambiamento significativo: l’educazione è una delle strategie (forse l’unica) che permettono di generare cambiamenti nei valori, negli atteggiamenti e nei comportamenti della società”[3]. Il Rapporto elaborato per l’UNESCO dalla Commissione Internazionale sull’Educazione per il XXI Secolo, presieduta da Jacques Delors[4], rispondendo alla domanda su quale sia il ruolo dell’educazione in un contesto che a livello sia locale che globale è contraddistinto dal cambiamento, fornisce un contributo per me illuminante, chiarendo come, di fronte alle sfide attuali, l’educazione rappresenti uno “strumento indispensabile”affinché l’umanità possa avanzare verso gli ideali di pace, libertà e giustizia sociale, affrontando e superando le tensioni: a) tra il globale e il locale; b) tra l’universale e l’individuale; c) tra la tradizione e la modernità; d) tra le considerazioni a lungo termine e quelle a breve termine; e) tra il bisogno di competizione e la preoccupazione dell’uguaglianza e dell’opportunità; f) tra l’espansione delle conoscenze e la capacità degli esseri umani di assimilare; g) tra lo spirituale e il materiale.
“L’educazione per una Cittadinanza Globale – sostiene Marco Galiero[5] che ha curato un interessante volume rivolto al mondo della scuola – si basa sul principio che potremo raggiungere un mondo più giusto solamente se i diritti umani verranno rispettati pienamente. ……….La dignità umana è un valore proprio di tutte le persone; dà loro il diritto inalienabile di vivere libere e in condizioni adeguate per svilupparsi, come individui e membri della loro comunità, in tutte le dimensioni dell’essere umano”.
Ma perché si può parlare ormai di cittadinanza globale? Nello stesso testo appena citato, Franco Cambi, docente ordinario di Pedagogia generale all’Università di Firenze, sostiene che “.. ogni soggetto è abitante di tre spazi sociali, di tre “appartenenze””, nel senso che ognuno di noi, non senza difficoltà, vive tre tipi di cittadinanze: locale, nazionale e mondiale che è possibile far convivere e vivere responsabilmente, in maniera non conflittuale tramite un dispositivo chiave, “l’intercultura”, che “garantisce la mediazione e l’incontro tra etnie, culture, ecc.”. In cosa consistono quindi le tre cittadinanze, ce lo chiarisce lo stesso Cambi.
- La cittadinanza locale “Alla base della identità di ciascuno sta l’appartenenza a una società locale, a una comunità coesa per lingua, tradizioni, immaginario, stili di vita ecc. E’ la città, la regione, è l’area geostorica di riferimento basico per ciascuno. E’ l’habitat che dà riferimento e sicurezza e condivisione. Ma che anche tende a chiudersi in sé stesso. A creare esclusioni, sospetti verso minoranze e diversità, anche persecuzioni. Pur restando la componente primitiva dell’identità di ciascuno”[6].
- La cittadinanza nazionale “A un secondo livello sta l’identità nazionale poi anche internazionale (tipo l’Unione Europea o l’Occidente), che è politica e culturale insieme. E’ il far parte di una comunità più vasta e plurale dove contano sì le tradizioni, ma soprattutto le regole consapevolmente istituite, contano le istituzioni globali, le leggi, l’ethos civile costruito insieme. …..”[7].
- La cittadinanza mondiale (o globale) “A un terzo livello sta, oggi, – proseguo sempre citando il contributo del prof. Cambi – la cittadinanza mondiale: relativa a un “uomo planetario” (come diceva padre Ernesto Balducci” che fa valere soprattutto l’umanità comune ai diversi popoli, crea tra loro dialogo e accordo, scambio e convergenza, sia pure dentro un processo difficile, non lineare, complesso. ……Qui si profila una cittadinanza mondiale, interetnica, internazionale, etico-politica in particolare, che cresce con la crescita stessa della globalizzazione, se in essa non si faranno prevalere gli integralismi e i conflitti di civiltà e si valorizzeranno le vie interculturali di formazione di quell’uomo globalizzato (o meglio, planetario) che è in ascesa.”
Da questi contributi ciò che emerge con chiarezza con le parole di Cambi è che “la cittadinanza globale è in sé anche e soprattutto una sfida che si gioca tutta sulla capacità di fare integrare, mantenendo le differenze, i tre tipi di cittadinanza che, nel contesto della globalizzazione, non si cancellano ma anzi di rafforzano. E’ una sfida anche perché si propone come “un compito complesso …..alimentato da tre fattori – dialogo, solidarietà, diritti umani – portato avanti …proprio dall’incontro (e nell’incontro) tra culture”“
La domanda che adesso nasce spontanea è, che cosa possiamo fare noi in questo contesto?
Potremmo porre al centro del nostro messaggio e del nostro approccio, proprio questa idea della cittadinanza globale, promuovendo nei contatti che abbiamo in tutti i diversi ambienti in cui operiamo, questa idea forte della cultura della cittadinanza globale. Sarebbe per noi un passaggio quasi naturale da compiere, perché l’idea della cittadinanza globale contiene in sé, si basa, su un presupposto a cui noi lavoriamo da ben 31 anni, cioè la disponibilità dei cittadini ad attivarsi in prima persona per esercitare e promuovere diritti, doveri, poteri e responsabilità. Sarebbe bello e concludo su questo se Cittadinanzattiva si facesse promotrice di occasioni d’incontro, di formazione e di sensibilizzazione su questi temi, in ogni dimensione, rivolte ai cittadini, siano essi italiani o di altri Paesi, perché o si cresce insieme su questo piano, aiutandosi l’un l’altro, oppure sarà molto difficile venire a capo dei complessi nodi e dei gravi conflitti che i processi migratori suscitano ad ogni latitudine anche nel nostro Paese e in molte parti d’Europa.
La funzione che il Movimento potrebbe svolgere sarebbe dunque di tipo educativa, a favore di “un altro modello di sviluppo, cioè di una visione del mondo, della vita, delle relazioni tra le persone, le società e i paesi, fondata sull’equità, la giustizia, il rispetto della diversità e dei diritti economici, sociali, politici, culturali ambientali e di autodeterminazione dei popoli. Un modello di sviluppo che abbia come punto di riferimento le persone, i loro bisogni, i loro sogni e speranze, i loro diritti”[8].
II – L’Europa federale e la nuova Agenda sociale europea
In un bel Manifesto della Società civile Toscana sulla crisi e l’Europa, proprio qui a Firenze, il 22 aprile scorso, venne rilanciato da diverse organizzazioni[9] un vibrante impegno per rilanciare l’idea e la necessità di un Unione Politica dell’Europa. E’ l’Europa (senza dimenticare il ruolo cruciale del Mediterraneo), l’unico contesto possibile per l’Italia come gli altri Paesi dell’UE, per non subire quel processo inarrestabile in atto che si chiama globalizzazione e per avere la forza contrattuale necessaria a fare valere le proprie legittime esigenze.
“.. un vero governo federale dell’Europa – sostiene in un bel libro[10] Giulio Ercolessi – è una necessità indispensabile e vitale se gli europei vogliono ancora avere una voce minimamente rilevante nelle vicende del mondo globale”. Nel 1900 il 20% della popolazione mondiale era europeo; nel 2000, l’11%; nel 2025 saremo il 7% e nel 2100 il 4%.[11] In base ai dati della Banca Mondiale relativi al 2006 ed in particolare alla quota del Pil (Prodotto interno lordo mondiale) espresso in parità di potere di acquisto (Ppa), abbiamo, nella prima parte della tabella, una situazione di questo genere. Pur con i limiti di un indice di misurazione come il Pil, quale sia destinato ad essere il peso relativo dei singoli Paesi europei separatamente presi in considerazione, in rapporto ai nuovi protagonisti del mondo globale, lo si capisce chiaramente se, guardando alla seconda parte della tabella, mettiamo a confronto i dati della Banca mondiale con le proiezioni Goldamn Sachs per il 2030 e il 2050.[12]
Paesi | Quota Pil 2006 | Pil 2006 in Ppa | 2006 | 2030 | 2050 | |
Cina | 5,4 | 10,2 | 5,4 | 13,5 | 19,1 | |
India | 1,9 | 4,5 | 1,9 | 4,6 | 12 | |
Usa | 27,5 | 21,9 | 27,5 | 19,6 | 15,1 | |
Germania | 6,2 | 4,5 | 6,2 | 2,5 | 1,5 | |
Regno unito | 5 | 3,4 | 5 | 2,5 | 1,6 | |
Francia | 4,7 | 3,3 | 4,7 | 2,1 | 1,4 | |
Italia | 3,9 | 2,8 | 3,9 | 1,6 | 0,9 | |
U.E. 25 Paesi | 30 | 22,4 | 28,8 | 18,2 | 10,6 |
Questi dati dimostrano dunque che il peso dei nostri vecchi Paesi europei, presi singolarmente, è destinato ad essere sempre meno significativo sulla scena mondiale, fino a raggiungere uno standard di irrilevanza,
Occorre allora rilanciare quel progetto di unione politica dell’Europa tanto caro ai padri fondatori dell’Unione Europea. Occorre costruire una Federazione Europea, gli Stati Uniti d’Europa, con un suo Governo federale e con un Parlamento non solo eletto a suffragio universale, come avviene dal 1979, ma dotato di reali poteri d’indirizzo e con una sua Costituzione con un insieme di principi e di valori condivisi e tali da riflettere la vera anima e il vero spirito della dimensione europea, come suggerisce la Carta dei diritti fondamentali dell’UE del 2000[13]. Occorre, su tutto, una Europa con reali possibilità di partecipazione dei cittadini europei alla definizione e all’attuazione delle grandi scelte. Gli Stati Uniti d’Europa che in molti sogniamo, potrebbero vertere finalmente su una dimensione europea non solo monetaria, ma anche sociale, dei diritti, delle libertà e, mi permetto di aggiungere, delle responsabilità. Stiamo parlando ormai di una stringente necessità per i cittadini come per gli stati dell’UE.
In un’arena economica e politica così ampia, come quella prodotta dalla globalizzazione, c’è necessità soprattutto di grandi soggetti sovranazionali e di forti organizzazioni internazionali, che siano in grado di agire tempestivamente rispetto ad un’agenda sempre più globale. Gli esempi concreti da poter fare sono molteplici e chiariscono perché c’è bisogno di più Europa e non di meno come troppi politicanti irresponsabili continuano demagogicamente a sostenere per coltivare il proprio orticello elettorale. Costruire davvero un’Europa federale è oggi indispensabile per poter affrontare e risolvere tutti insieme, questioni cruciali come: il superamento dell’attuale crisi economica; la questione demografica; la questione dell’immigrazione; le questioni energetica ed ambientale; il contenimento e la riduzione dell’inquinamento e la salvaguardia del pianeta, il surriscaldamento del pianeta e le mutazioni climatiche; la lotta alla povertà in tutto il mondo; il contrasto al terrorismo e alla criminalità organizzata.
Tutte questioni, come sostiene con lucidità Gianni Pittella[14] uno degli attuali vice presidenti del Parlamento Europeo, per le quali “Non si tratta e non si tratterà di scelte neutrali” e per le quali serve un’Europa politica ma anche un’Europa che dia finalmente molto più spazio alla partecipazione civica dei suoi cittadini. Ecco qui allora un ruolo importante per i prossimi anni per le nostre associazioni dei cittadini e per svolgere il quale Cittadinanzattiva vanta una significativa esperienza grazie al lavoro svolto in questi 11 anni, in particolare attraverso la nostra rete di Active citizenship network (Acn).
Ma è la nuova Agenda sociale europea presentata dalla Commissione europea il 2 luglio 2008 che potrebbe rappresentare nei prossimi anni il terreno più favorevole per esaltare la natura e il ruolo, dei soggetti della cittadinanza attiva nella dimensione europea.
L’Agenda Sociale europea, insieme all’Anno Europeo dedicato alla Lotta contro la Povertà, nel 2010 e all’Anno Europeo dedicato al Volontariato, nel 2011, può costituire un formidabile insieme di opportunità per dimostrare il ruolo insostituibile dei cittadini attivi, quindi delle stesse associazioni di volontariato, per affermare la priorità degli interessi generali e per rilanciare quelle politiche d’inclusione sociale e di sviluppo umano, troppo spesso poste ai margini soprattutto da governanti, economisti, manager e azionisti attenti solo al mito della crescita economica illimitata.
L’Agenda sociale europea ha tre grandi obiettivi.
a) Creare opportunità, per aumentare e migliorare i posti di lavoro e la mobilità.
b)Garantire ai più svantaggiati un accesso all’istruzione, alla protezione sociale, a cure sanitarie e servizi di qualità per superare le disparità iniziali e permettere a tutti di vivere di più e meglio.
c)Attuare la solidarietà sociale, generazionale, tra regioni, tra ricchi e poveri. “La solidarietà – come ricorda Gianni Pittella – fa parte integrante delle società europee e delle relazioni tra l’Europa e il resto del mondo. Solidarietà vuol dire favorire l’inclusione sociale e l’integrazione, la partecipazione e il dialogo, combattere la povertà. Vuol dire aiutare le persone che, a seguito della globalizzazione e dei cambiamenti tecnologici, devono affrontare difficoltà anche temporanee.”
Le priorità che l’Agenda individua sono queste sei: prepararsi al domani: i bambini e i giovani; investire nelle risorse umane: gestire il cambiamento; consentire una vita più lunga e più sana; combattere la discriminazione, rafforzare gli strumenti; orientare le priorità a livello internazionale; combattere povertà ed esclusione sociale.
A tutto ciò si collegano le 19 iniziative specifiche previste in tema di occupazione e affari sociali, istruzione e giovani, salute, società dell’informazione e affari economici.
Insomma, un pacchetto di obiettivi, di priorità e di iniziative specifiche a cui noi, insieme ad altri, ispirandoci al principio della sussidiarietà orizzontale, potremmo rivolgere una particolare attenzione promuovendo apposite politiche di cittadinanza attiva nelle dimensioni europea, nazionale, regionale e locale.
III – La sostenibilità
Il percorso fin qui compiuto, conduce al tema più generale della sostenibilità.
I frequenti allarmi sui cambiamenti climatici[15] e la più recente crisi economica mondiale, hanno contribuito non poco a diffondere la consapevolezza sui gravi limiti dell’attuale modello di sviluppo. Sul tema dello sviluppo mi permetto di suggerire la lettura dell’ultima Enciclica Sociale di Papa Bendetto XVI, dedicata allo sviluppo umano integrale, nella quale si chiama in causa anche la responsabilità sociale del consumatore[16]. In effetti di sostenibilità si parla con crescente intensità da almeno venticinque anni a questa parte, facendo riferimento ad almeno tre grandi aree difficilmente separabili: l’ambiente, la dimensione sociale, la dimensione economica finanziaria. Gli effetti più pesanti con i quali si manifestano i limiti di fondo del tradizionale modello di sviluppo imposto da noi occidentali al pianeta, sono evidenti.
– Oltre un miliardo di persone (donne in maggioranza) che sopravvivono con meno di 1 dollaro al giorno; 800 milioni di persone sono malnutrite, oltre 2,5 miliardi d’individui che non hanno accesso adeguato all’acqua e alle fognature. La povertà e l’esclusione sociale sono in realtà presenti ovunque. Gli ultimi dati Istat lo certificano nuovamente. Nel nostro Paese, nel 2008, le famiglie che si trovavano in condizioni di povertà relativa erano stimate in 2 milioni 737 mila e rappresentano l’11,3% delle famiglie residenti. Si tratta di 8 milioni 78 mila di individui poveri, il 13,6% dell’intera popolazione. Nel 2008, in Italia, 1 milione 126 mila famiglie (il 4,6% delle famiglie residenti) risultavano in condizione di povertà assoluta, per un totale di 2 milioni e 893 mila individui, il 4,9% dell’intera
popolazione.
– I ricorrenti disastri ambientali, soprattutto in quei paesi a fortissima crescita, come la Cina e l’India, ci vengono ricordati quotidianamente dagli organi d’informazione.
– La più grave crisi economica finanziaria dal 1929 ad oggi e dalla quale si deve ancora uscire, ha causato decine di milioni di disoccupati e riportato nelle condizioni di povertà assoluta milioni di persone in tutto il mondo, con una crisi generale di fiducia che occorreranno anni per recuperarla.
Il contesto in cui si colloca oggi l’obiettivo della sostenibilità è inevitabilmente quello della globalizzazione, cioè di un fenomeno che, come per internet, non è possibile definire in assoluto né buono, né cattivo, perché in realtà a fare poi la differenze è l’uso che se ne fa. Si pensi infatti ai benefici e alle notevoli potenzialità che sono riconducibili ai processi globali sul piano dell’uscita dalle condizioni di povertà, delle possibilità di partecipare, di esprimere solidarietà, di agire in comune. Se un giudizio definitivo sulla globalizzazione non è praticabile, quello che appare evidente è che essa ha accentuato quella pressione competitiva nel sistema economico che ha prodotto una sorta di “schizofrenia” negli individui di oggi che vengono contemporaneamente “esaltati” come consumatori (ottenendo gamme sempre più vaste di prodotti tendenzialmente a costi contenuti o decrescenti a parità di contenuto tecnologico) e allo stesso tempo “precarizzati” come lavoratori”[17] dal punto di vista sia delle tutele che delle retribuzioni. Che cosa può fare un Movimento come il nostro per promuovere la sostenibilità?
Occorre aprire, anzitutto, un’apposita riflessione nel Movimento e con i suoi possibili alleati, con delle sperimentazione concreta, prendendo in considerazione i molti aspetti della sostenibilità (la produzione e l’uso dell’energia, la mobilità, i sistemi finanziari, del credito, del risparmio, come si lavora, ci si nutre e ci si cura, l’edilizia abitativa, le confezioni dei prodotti, la gestione del ciclo dei rifiuti, ecc.). Tre aspetti in questa riflessione mi sembrano centrali: la questione etica, la responsabilità sociale d’impresa, l’innovazione nell’approccio alle politiche dei consumatori.
– La questione etica, è decisiva per tutti, perché è indispensabile davvero incidere sui comportamenti dei responsabili delle istituzioni pubbliche e delle imprese, degli individui, dei gruppi, delle comunità, degli stati, dei manager, dei dirigenti, degli azionisti, dei professionisti, dei risparmiatori;
– la responsabilità sociale delle imprese (su cui in realtà Cittadinanzattiva si è mossa ormai da anni sul versante delle grandi imprese), delle amministrazioni pubbliche e delle stesse organizzazioni civiche e dei consumatori;
– l’innovazione nel tradizionale approccio del movimento consumerista (non solo italiano), troppo concentrato e da molto, sulla tutela e la rappresentanza degli interessi di consumatori e utenti, curandosi in particolare dei prezzi dei prodotti e dei servizi e della loro qualità, ma scarsamente attento, il più delle volte, ad altri aspetti connessi alla eticità e alla sostenibilità dei prodotti o dei servizi.
Quello che anche noi dovremmo fare è prendere atto, nelle nostre politiche, del legame stretto che unisce ormai le questioni ambientali e quelle sociali, i diritti umani, lo sviluppo, la lotta alla povertà e l’esclusione sociale. 10
Quello che potremmo fare è andare al di là della sterile critica al consumismo, cioè a quella “continua ed estenuante ricerca di oggetti e servizi superflui che il mercato mette incessantemente a disposizione”[18], perché sappiamo che questo non può bastare. Occorre invece riconoscere, superando le ritrosie di vecchie categorie di analisi politica ed economica basate sul primato della produzione, che il consumo in quanto tale, nelle società moderne, è una delle principali aree in cui il consumatore può manifestarsi anche come cittadino, esercitando un potere di scelta strettamente collegato a delle istanze etiche, che tende ad influenzare in maniera sempre più rilevante il comportamento delle stesse imprese. E’ per questo che noi stessi, invece di contrapporre le due parole, dovremmo parlare sempre più di consumatori-cittadini e non più solo di consumatori o di cittadini.
Il potere dei consumatori a favore del cambiamento del modello di sviluppo, traspare oggi nel progressivo affermarsi di una nuova ricerca di senso etico che si manifesta sempre di più proprio nella sfera del consumo. Un esempio eclatante di tutto ciò, è il successo dei prodotti del commercio equo e solidale che oggi in Italia, troviamo un po’ ovunque e la crescita costante di esperienze innovative come quella della Banca Etica. C’è una costante crescita di un nuovo attivismo civico, nel campo dei consumi, che si basa su una importante azione dal basso di consumatori–cittadini socialmente responsabili. Mi riferisco non solo ai diversi gruppi di consumo critico o ai gruppi di acquisto solidale, ecc. ai quali anche noi dovremmo prestare molta più attenzione, ma anche a tanti cittadini comuni che esprimono il loro modo di essere cittadini attivi con precise scelte di consumo, con le quali si vuole consapevolmente promuovere un mercato trasparente, in cui il prezzo sia espressione del vero costo delle materie prime, in cui si tenga conto della qualità, e delle conseguenze della produzione sull’ambiente e sull’assetto sociale, degli effetti dell’utilizzo dei prodotti per la salute del consumatore, e le conseguenze relative allo smaltimento di quei prodotti dopo il loro utilizzo. Immagino e spero che l’Expò 2015 che si svolgerà a Milano, possa costituire una importante tappa in questa direzione.
Care amiche e cari amici, concludo qui questo mio contributo che so essere stato troppo lungo. Parlare di Cittadinanza globale, di Europa federale, di Sostenibilità, è stato per me oggi un modo, un tentativo, per contribuire a quel guardare avanti, alla innovazione che mi pare siano sempre stati uno dei tratti distintivi della nostra esperienza. Quello che infatti oggi ci è chiesto è di riuscire a guardare non all’oggi ma al domani e di farlo con fiducia. Vi ringrazio per la vostra attenzione.
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[1] Cfr. Indagine esclusiva per il corriere della Sera sull’”immigrazione e identità culturale “della Fondazione Rosselli (agosto 20099
[2] Banca d’italia, Rapporto sulle economie regionali 2008
[3] “Educare per una Cittadinanza Globale” a cura di Marco Galiero, Editrice Missionaria Italiana, 2009
[4] J. Delors e altri, “La educacion encierra un Tesoro, UNESCO, Paris 1996 (ed. italiana: Nell’educazione un tesoro, Armando Editore, roma 1997)
[5] “Educare per una Cittadinanza Globale” a cura di Marco Galiero, Editrice Missionaria Italiana, 2009
[6] Franco Cambi, saggio pubblicato nel testo “Educare per una Cittadinanza Globale” a cura di M.G. EMI, 2009
[7] Ibid. pp. Precedenti.
[8] Oscar Jara Holliday, Direttore generale del Centro Studi e Pubblicazioni Alforja a San Josè de Costa Rica.
[9] Movimento federalista europeo e Gioventù Federalista Europea della Toscana, Legambiente, Caritas, Friends of Earth della Toscana, Magistratura democratica – sezione Giuslavoristi, Villaggio dei Popoli e Cospe Toscana, il Fondo Essere
[10] “L’Europa verso il suicidio? Senza Unione Federale il destino degli europei è segnato” Giulio Ercolessi, edizioni Dedalo, 2009
[11] Jean-Claude Junker, Primo mnistro del Lussemburgo, “On risque d’assister au retour des vieux démons”, “Libération, 19 giugno 2008.
[12] Le proiezioni sono tratte da R.Ruggiero, Equilibri globali. Le economie stanno bene, i governi un po’ meno, “Il sole 24 Ore”, 10 febbraio 2007
[13] Firmata dai Presidenti della Commissione, del Consiglio e del Parlamento a Nizza, il 7/9 dicembre 2000.
[14] Gianni Pittella, “L’Europa indispensabile”, Donzelli Editore, 2009
[15] Lester R. Brown “PIANO B3.0 Mobilitarsi per salvare la civiltà”, Edizioni Ambiente, 2008
[16] Papa Benedetto XVI “Caritas in Veritate”, Libreria Editrice Vaticana, 2009
[17] Leonardo Becchetti, “Responsabilità sociale e consumatori” in “Sostenibilità ed etica?” A cura di Roberta Paltrinieri e Maria Luisa Parmigiani, 2005, Carocci Editore
[18] “Sostenibilità ed etica”? A cura di Roberta Paltrinieri e Maria Luisa Parmigiani, 2005, Carocci Editore