La relazione di Anna Rita Cosso : “AGENZIA O MOVIMENTO?”

 1. Riforma del movimento

2. Una varietà di forme associative

3. Associazione di promozione sociale

4. La logica degli Albi

5. Agenzie

6. Empowerment e cambiamento

7. Il nostro oggi

8: Non è stato sempre così

9. Autovalutazione

10. Il rischio è davvero  accontentarsi

11. Un movimento federale

12. Non da soli

13. Conclusioni

 

 

  1. RIFORMA DEL MOVIMENTO

Vorrei in primo luogo precisare che il punto di vista prescelto è quello della RIFORMA DEL MOVIMENTO di cui si parlò al Congresso nazionale di  Roccella Jonica (25-28 Ottobre 2006).

Credo che a fronte delle responsabilità che come organizzazione sentiamo di avere, anche alla luce degli elementi forniti nelle relazioni che mi hanno preceduto,  sia  impossibile non sentire l’inadeguatezza del nostro modello organizzativo a livello locale e centrale.

 

  1. UNA VARIETA’ DI FORME ASSOCIATIVE

A mio parere occorre  partire dalla consapevolezza che di    forme associative presenti  nei campi  all’interno dei quali noi da sempre ci muoviamo e cioè : il volontariato socio assistenziale, il consumerismo, l’ambientalismo, l’autodifesa civica dei comitati, i movimenti di opinione, il prolochismo (passatemi l’orribile neologismo ma è per rendere l’idea)  , ce ne siano moltissime.

 

  1. ASSOCIAZIONE  DI PROMOZIONE SOCIALE

Dal punto di vista giuridico – amministrativo noi oggi noi siamo stati riconosciuti come associazione di promozione sociale (ai sensi della Legge 383/2002) : sono considerate tali “le associazioni riconosciute e non riconosciute, i movimenti, i gruppi e i loro coordinamenti o federazioni costituiti al fine di svolgere attività di utilità sociale a favore di associati e di terzi, senza finalità di lucro e nel pieno rispetto della libertà e della dignità degli associati.”La  legge esclude da questa categoria partiti, sindacati, associazioni di datori di lavoro, professionali o di categoria, e tutte le associazioni che hanno come   finalità la tutela esclusiva degli interessi economici degli associati. Le associazioni di promozione sociale si avvalgono prevalentemente di attività prestate volontariamente e gratuitamente dai propri aderenti, pur ammettendo la possibilità di lavoro dipendente e autonomo.

 

  1. LA LOGICA DEGLI ALBI

E’ evidente che la smania di creare Albi delle Associazioni  che dagli anni 90 in poi ha caratterizzato il rapporto delle pubbliche amministrazioni con il mondo dell’associazionismo fosse  dovuta soprattutto all’esigenza di mettere ordine in un mondo variegato, in continuo movimento, in cui la nascita di nuovi soggetti era direttamente proporzionale al loro essere spesso associazioni individuali o familiari o amicali. Troppe ne conosciamo. Ma paradossalmente la creazione di Albi si è limitata non solo  a prendere atto dell’esistente aggiungendo confusione a confusione, ma ha sicuramente determinato un incremento dell’esistente. Noi (un organismo come Cittadinanzattiva, intendo) potremmo oggi  tranquillamente iscriverci all’albo dei consumatori o a quello del volontariato o a quello delle associazioni tout court o a quello delle associazioni di promozione sociale. Siamo iscritti a livello nazionale nel registro delle ONLUS ma tale riconoscimento è sempre stato molto più complicato a livello regionale, dove le agenzie delle entrate hanno spesso esercitato un fuoco di sbarramento nei nostri confronti. E d’altra parte nessuna delle altre associazioni dei consumatori è riconosciuta come ONLUS.

Sarebbe veramente giunto il momento di portare avanti riflessioni maggiormente approfondite su questo argomento.

Dunque la proliferazione delle associazioni ha generato la proliferazione degli albi e con essi la proliferazione di definizioni delle variegate forme di associazionismo.

  1. AGENZIE

Quello che noi vediamo in tante associazioni con cui anche collaboriamo è il prevalere di modelli “agenzia” in cui ad esempio in una regione come l’Umbria possono  bastare due persone a fare un’associazione regionale  dei  consumatori e 8 a fare un’organizzazione  ombrello.  L’importante è svolgere dei servizi a sostegno dei cittadini – consumatori.

Noi siamo a parole sempre stati contrari a questo tipo  di impostazione : ma   le condizioni all’interno delle quali possiamo muoverci spesso ci costringono ad andare verso questo  tipo di modello organizzativo. Senza soldi, senza sedi, senza persone che lavorino con continuità nelle sedi regionali, che cosa possiamo fare ? Dare qualche intervista, intervenire su un  caso eclatante al mese, fare dei progetti finanziati dalla Regione, un convegno, due conferenze stampa l’anno  : ecco fatto quella che , volendo limitarsi a sopravvivere, potrebbe essere  l’attività di una nostra organizzazione a livello regionale. Un’organizzazione in cui il centro regionale è il cuore del sistema ma alla quale sfugge la maggior parte di quanto avviene realmente nella propria regione.

Ripeto : quella che ho descritto non è la nostra situazione ma è ciò che ci stiamo avviando a  diventare se non prendiamo in mano il nostro destino e soprattutto se non riflettiamo in modo autentico sulla dimensione regionale.

Il nostro problema è capire a quale modello noi si faccia riferimento in questo momento storico, tenendo però presente che il modello attuale non è stato da  sempre  vigente o in voga nella nostra organizzazione e tenendo presente che forse possono esserci funzioni diverse tra il  livello nazionale e quello   regionale.  

Il livello nazionale nella mia opinione ha da tempo scelto il modello misto (agenzia-movimento con un centro nazionale organizzato e  con sedi regionali sguarnite ma fornite di soci) : di fatto però la prevalenza che viene data alla realizzazione di progetti nazionali piuttosto che allo sviluppo di politiche regionali sta facendo prevalere il primo aspetto. 

 

  1. EMPOWERMENT E CAMBIAMENTO

Credo che per approfondire questa riflessione dobbiamo riflettere sul concetto di empowerment in primo luogo e in secondo luogo sul tema del cambiamento : cosa vuol dire essere   un’organizzazione finalizzata al cambiamento sociale.

Il concetto di empowerment (cioè di incremento della soggettività e del potere delle comunità locali e dei singoli individui) deve essere la base della nostra riflessione. Si tratta di un termine  da qualche tempo molto di moda ma è sicuramente un modo attuale di esprimere un concetto che noi abbiamo ben presente fin dai tempi in cui parlavamo di “democrazia diretta”, “potere popolare”, ecc. Cioè fin dai tempi della fondazione del movimento. Se noi consideriamo l’empowerment un processo emancipatorio grazie al quale le persone svantaggiate imparano a far valere i propri diritti, ad accedere alle risorse e partecipare attivamente al processo creativo e decisionale della società, è evidente che il nostro modello organizzativo manifesta inadeguatezza rispetto al compito.

Ma empowerment è un concetto che si adatta parimenti alla cooperazione allo sviluppo come al servizio socio-assistenziale o alla pedagogia. E’ chiaro che si tratta di un concetto fondamentale per autovalutarci.

UN’organizzazione a servizio dell’empowerment e dello sviluppo non può permettersi di funzionare come un’agenzia di servizi ma deve svolgere un lavoro politico legato alla base della cittadinanza:

 

  1. IL NOSTRO OGGI

Noi oggi purtroppo rischiamo di apparire come un mero sportello reclami, meritorio si ma non sufficiente né ad emancipare le  persone (che anzi spesso si passivizzano ricorrendo a noi) né ad operare  cambiamento. Ci sono anche casi di sezioni del Tribunale per esempio che assumono lo status quo senza minimamente provare a cambiarlo anzi usandolo nei suoi aspetti deteriori : è il caso di quelle realtà, rare per fortuna, che usano il proprio prestigio e quello del Tribunale  per far passare avanti nelle liste  di attesa quanti  si rivolgono a loro, gli amici certo ma non solo quelli.

Se si abbandona la prospettiva collettiva ci si trasforma in un’Agenzia tecnicizzata e la politicità si riduce a clientelismo.

Dobbiamo lavorare su un modello di organizzazione che non abbia senso solo nelle società del mondo industrializzato; dobbiamo lavorare su un’organizzazione adatta ad un mondo globalizzato.

 

 

  1. NON E’ STATO SEMPRE COSI’

Certo nella storia della società italiana non si può certo dire che il nostro Movimento non abbia portato processi di cambiamento. Molti e significativi cambiamenti della società italiana hanno avuto  certamente nella nostra organizzazione lo stimolo, il punto di origine. Ma oggi , oggi quali cambiamenti riusciamo a determinare ?

 

  1. AUTOVALUTAZIONE

So di usare termini duri ma dobbiamo avere il coraggio di applicare a noi stessi i criteri di qualità, di verifica, di monitoraggio dei risultati che applichiamo agli altri, alle pubbliche amministrazioni come ai servizi pubblici locali. Nello stesso tempo non sto puntando il dito contro  i vertici nazionali o perlomeno non solo verso di loro. Siamo tutti noi a doverci mettere in discussione.

 

  1. IL RISCHIO È DAVVERO ACCONTENTARSI

Paradossalmente i fondi dell’antitrust distribuiti attraverso le regioni alle associazioni dei consumatori rischiano di aumentare la parcellizzazione delle associazioni e il loro minimalismo, ma anche, anziché potenziare l’associazionismo,  di favorire un approccio riduzionista . Su questo l’autocontrollo e il senso critico debbono essere sempre allerta. Ci sono associazioni nazionali che si suddividono progetti e fondi dell’antitrust tra i  familiari : prima o poi questo mal costume dovrà finire.

 

  1. UN MOVIMENTO FEDERALE

Noi siamo per un movimento autenticamente federale. Ma cosa vuol dire ?Il tema del federalismo è il tema delle risorse condivise. C’è chi anche tra noi leader regionali si affanna a dire che abbiamo bisogno di un centro nazionale forte e non gli interessa il rafforzamento delle realtà regionali : certo paradossalmente se hai un centro forte che risponde ai quesiti, che fa i progetti e elabora i rapporti nazionali, a te regione basta avere una sede anche a casa tua e da lì andare ogni tanto sulla stampa, prendere i fondi dell’anti trust, avere uno sportello sulla sanità e uno per i consumatori, e hai fatto il movimento.ecc. ecc.  

Ma in questo modo stiamo incrementando la conoscenza e il potere dei cittadini? O stiamo semplicemente dando un senso alla nostra esistenza?

Ma allora non sono meglio i tanto contestati patronati?

Io credo che un movimento che intenda potenziare la soggettività di gruppi e individui facendo  mobilitazione civile debba essere capillarmente radicato nella società, nei quartieri, nei servizi : e su questo noi siamo molto indietro.

Non basta fare le tessere perché spesso le tessere manifestano solo simpatia nei confronti delle tematiche che noi affrontiamo. E nient’altro.

Occorre davvero rifondare un movimento con uno spirito nuovo chiedendo alla gente di essere protagonista e  creando un mix di stili : con la verve dei grillini, con il rigore dei radicali, con la potenza simbolica di Greenpeace, con la fantasia di Legambiente, con il radicamento dei comitati elettorali, con la concretezza del servizio civile internazionale, con il realismo politico della Fondazione Adenauer, con la voglia di stare in mezzo alla società del Movimento federativo democratico delle origini.

 

  1. NON DA SOLI.

Faccio questi riferimenti al di fuori di noi perché dobbiamo avere anche il coraggio di lavorare insieme agli altri, rifiutando un isolamento nella torre d’avorio della nostra  storia e dei nostri passati successi : quanto sta avvenendo in questi giorni a proposito degli attacchi di Codacons  sull’audit civico  deve insegnarci molte cose. Ad esempio, che i nostri strumenti sono troppo importanti per farli affogare nelle lotte tra organizzazioni, ma che essi, una volta verificatane l’efficacia, debbono venire assunti come pratiche correnti dalla pubblica amministrazione : in questo senso ci sarà spazio  per molti  anche in termini economici.

 

  1. CONCLUSIONI

Capite benissimo che questa non è una riforma che possa fare la Commissione Statuto in 20 persone a Roma : nasce da qui, da incontri come questo, da 10 100 1000 seminari, autogestiti, sopportati o supportati, a seconda dei casi . Nasce con quello che d’ora in poi chiameremo  lo spirito di Firenze.