Riforma del Terzo Settore: il Congresso Straordinario di Cittadinanzattiva Umbria
Sabato 3 ottobre 2020, in modalità mista (presenza e collegamento da remoto) si è svolto a Spoleto il Congresso Straordinario di Cittadinanzattiva Umbria volto ad approvare il nuovo Statuto Regionale, le cui modifiche si sono rese necessarie a fronte della riforma sul Terzo Settore.
Al termine della fase congressuale che attualmente sta impegnando il movimento sia localmente sia a livello nazionale, sarà possibile scaricare il nuovo statuto e accedere sul sito e sui canali social a tutte le informazioni di natura statutaria nonché organizzativa.
Cittadinanzattiva, fin dalla pubblicazione nel 2014 delle Linee-guida per una riforma del Terzo settore, ha espresso apprezzamento per la volontà di riorganizzare la legislazione inerente il cosiddetto Terzo settore ma allo stesso tempo, ha ribadito quanto la semplificazione e il miglioramento delle leggi dovessero porsi il fine di accogliere e accompagnare più efficacemente le diverse attività civiche, assecondando l’autonomia dei soggetti sociali che operano nell’interesse generale e valorizzandone la ricchezza di articolazione e di missione, e non perseguire intenti prevalenti di omologazione, regolazione e controllo.
Cittadinanzattiva non ha mancato di indicare i rischi che, coerentemente con la nostra storia e le nostre scelte, ci sembravano insiti in esso.
Tra questi l’interpretazione strumentale dell’articolo 118 della Costituzione nel quale si persegue la spontanea manifestazione di sussidiarietà dei cittadini col favore delle istituzioni, e non la “strumentalizzazione” dell’iniziativa civica secondo un approccio di delega né la mera rincorsa all’assegnazione di servizi da offrire. Questo anche perché i documenti preparatori del Codice insistevano, invece, su idee di “modelli di assistenza del privato-sociale” come rattoppo alla crisi del welfare, in sostituzione della garanzia dei diritti sociali e a seguito di indebite “esternalizzazioni” dei doveri istituzionali. Il limite forte con cui il Codice già nasceva era invece quello di considerare le attività autonome dei cittadini come la risposta al taglio della spesa pubblica sociale (visione che non tiene conto del fatto che le azioni più significative messe in campo dai cittadini riguardano non tanto e non solo l’erogazione di servizi di assistenza ma la tutela dei diritti, il sostegno ai soggetti deboli, la cura dei beni comuni).
Altro rischio che Cittadinanzattiva ha paventato riguardo alla riforma è stato era di delineare il terzo settore come soggetto prevalentemente economico anziché politico. Coloro che si attivano autonomamente per l’interesse generale, in forma singola o associata, sono con le istituzioni soggetti di progettazione, costruzione e implementazione di politiche pubbliche e le azioni civiche non si limitano a fornire servizi.
Più e oltre che riformare le leggi, occorreva e occorre coordinare e rendere coerenti, efficaci e responsabili le politiche pubbliche verso il terzo settore, nella prospettiva costituzionale della sussidiarietà circolare. Accettare questo punto significa superare la visione della Pubblica Amministrazione gendarme, dell’Agenzia delle Entrate controllore, dello Stato soggetto appaltante: significa riconoscere la “cittadinanza attiva” come soggetto politico influente sugli indirizzi delle politiche pubbliche.
Un ultimo rischio è stato quello di un’impostazione, solo in parte attenuata dalla stesura definitiva del Codice, che ponesse l’accento sulle organizzazioni come tali piuttosto che sulle attività concrete che le stesse realizzano per l’interesse generale. È sempre possibile per qualsiasi associazione dire che ha un tot numero di soci o dotarsi di un organo di amministrazione interno, ma se non può dimostrare di operare per l’interesse generale perché le istituzioni dovrebbero favorirla?
A fronte di ciò, Cittadinanzattiva ha lavorato nel tentativo di migliorare il testo della riforma, giunto poi all’attuale formulazione allo scopo di mettere al centro le azioni, e non le organizzazioni. In questo modo ci si accosta al terzo settore, passando da una logica ancora centrata sul collateralismo tra politica e associazionismo, a una dove l’autonomia del sociale si manifesta attraverso la rilevanza delle iniziative messe in campo e funziona, a sua volta, da contrappeso all’autoreferenzialità delle forze politiche tradizionali.
La “cittadinanza attiva” è un soggetto politico, protagonista con le proprie peculiarità della ricerca dell’interesse generale e capace pertanto di indirizzo sulle politiche pubbliche, ma anche sulle correlative necessarie riforme di sistema politico.
Premesso ciò, tra gli aspetti potenzialmente positivi dell’attuale impianto normativo vi sono:
– il primato delle attività sui soggetti ( l’accento è posto non sulle organizzazioni come tali, e neanche sulle finalità astratte contenute negli Statuti di ciascuna, ma sulle attività concrete che le stesse organizzazioni, e anche i singoli cittadini, realizzano, distinguendo fra quelle promosse per l’interesse generale, e in quanto tali meritevoli del favore e del sostegno delle istituzioni, e quelle che realizzano fini, semmai ugualmente legittimi, ma che nulla hanno a che fare con l’interesse generale);
– la trasparenza come cifra distintiva intesa come valorizzazione della trasparenza totale che le organizzazioni di terzo settore devono avvertire come loro distintivo, esigendo da sé le stesse cose che sono spesso richieste ad altri (es. trasparenza di istituzioni, pubblica amministrazione, imprese ecc..);
– la valutazione delle attività svolte dall’ente (valutazione delle attività strettamente connesse al concetto di “impatto sociale”, approccio che si rivelerà interessante a condizione che si traduca in una “messa a terra” sistematica ed efficace che, al momento, le Linee guida per la realizzazione di sistemi di valutazione dell’impatto sociale delle attività svolte dagli enti del terzo settore pubblicate nel 2019 non paiono garantire).