L’allarme diossina negli alimenti a livello europeo si è coniugato in questi giorni con la notizia, davvero poco rassicurante, che in Umbria arrivano ogni anno un milione di suini provenienti dall’estero

imagesCA4QWJTQsuiniSembrerebbe dunque che molto prosciutto cosiddetto “nostrale” sia il frutto della lavorazione in loco di maiali “stranieri”, soprattutto olandesi,  tedeschi, rumeni  e belgi.  Non lo sappiamo con certezza perché attualmente sulla carne suina non è obbligatorio porre l’etichetta con l’indicatore di provenienza.Diciamo allora che la prima informazione seria da dare ai consumatori consisterebbe nel dire se tra questo milione di capi ce ne fossero di provenienti dagli allevamenti sospetti di uso di mangimi alla diossina.Sarebbe poi  interessante farsi descrivere  da chi  va  a caricare animali vivi in Olanda per essere poi macellati in Italia, le collocazioni di  questi allevamenti intensivi: generalmente  essi sorgono nelle vicinanze di grandi impianti di lavorazione alimentari, di cui presumibilmente i suini mangiano gli scarti. O anche in che condizioni vivono questi animali, talora  in promiscuità con volatili, collocati ai piani superiori.

D’altra parte per poter acquistare la carne di maiale a 1,17 euro  al kg (dati Camera di Commercio di PG del 16/1/2011), molto di meglio non ci si può aspettare. Prezzi questi che mandano sul lastrico gli allevatori onesti.

 

Da questo insieme di notizie inquietanti  ha preso il via una campagna tesa a  sostenere che bisogna impiantare molti impianti suinicoli nella nostra regione dove attualmente si allevano solo 120.000 suini l’anno.

Cosa dobbiamo fare allora, noi consumatori?

Davvero l’alternativa è tra mangiare prosciutto alla diossina o l’accettare impianti zootecnici intensivi sotto casa  con tutte le problematiche connesse alla gestione dei rifiuti reflui? Siamo strangolati tra queste due opzioni ?

 

Non viene detto però  che gli allevamenti in soccida intensivi ed inquinanti presenti nel marscianese, non alimentano il mercato umbro, ma   vanno a fornire le cosce per i DOP di Parma e di S. Daniele, cioè inquinano l’Umbria ed arricchiscono i produttori di quei marchi.

È vero d’altra parte che vi sono anche allevamenti non inquinanti, cioè estensivi che usano  intere porzioni di macchia mediterranea, come quelli esistenti nel senese ma anche in Umbria, che danno la ormai famosa Cinta senese ( il “cinturino” presente negli affreschi della Chiesa di Vallo di Nera), carne  di qualità realmente superiore che viene commercializzata ad un prezzo doppio di quella normale  e con un mercato sempre in ascesa.

I consumatori allora chiedono più controlli, impianti zootecnici  compatibili con l’ambiente, chiedono l’obbligo dell’etichettatura, chiedono il DOP ovvero una  certificazione per i prodotti davvero locali, chiedono la filiera corta per la carne di maiale, compatibilmente con le possibilità di una Regione che è piccola e non può continuare a mangiarsi  il proprio territorio.

 Serve nelle politiche agricole la capacità di non essere subalterni ai piccoli interessi delle proprie clientele elettorali mettendo al centro il benessere e la salute dei consumatori.

Lo ha detto la Coldiretti Umbria in questi giorni e lo sosteniamo anche noi: la piena tracciabilità dei prodotti rappresenta una sicurezza per i consumatori. Così come siamo consapevoli riguardo alle  uova,  dovremmo esserlo per tutti i  prodotti alimentari.

E noi aggiungiamo anche: mangiare meno carne ma mangiarne di migliore. Forse è una via di uscita.

 

 

Anna Rita Cosso

Segretaria regionale

Cittadinanzattiva dell’Umbria