GIUSTIZIA PER I DIRITTI
è una iniziativa nata, in Umbria nel 2001, ha il compito di promuovere una politica della giustizia che valorizzi l’impegno civico, affinché i cittadini, individualmente o collettivamente promuovano azioni dirette a prevenire, limitare o rimuovere posizioni di soggezione, di sudditanza e di discriminazione, che limitino i diritti della persona.
Opera mettendo a disposizione delle altre reti di Cittadinanzattiva le proprie strategie di tutela giuridica, ponendo al suo centro il punto di vista e i diritti dei cittadini, al fine di riformare la giustizia. In particolare le sue attività sono finalizzate a facilitare l’accesso dei cittadini al servizio giustizia; migliorare la qualità dell’organizzazione giudiziaria italiana; contribuire al dialogo e alla discussione tra le diverse componenti del mondo giudiziario; promuovere un controllo pubblico diffuso sull’amministrazione della giustizia; promuovere il riconoscimento di diritti nei confronti di quei soggetti che ne risultino esclusi; impegnarsi nell’affermazione di nuovi diritti; promuovere iniziative in campo legislativo.
Giustizia per i diritti è costituita da avvocati che si impegnano a titolo volontario ed operano nei Centri locali di Giustizia per i Diritti, costituiti nell’ambito delle Assemblee Territoriali. L’attività di consulenza ed assistenza legale è regolata da una specifica convenzione.
DOVE SIAMO
SPOLETO
TERNI
PERUGIA/CASTIGLIONE DEL LAGO
ALTO TEVERE
CARTA DEI DIRITTI
INIZIATIVE
NON SI PUÒ PAGARE IL DEPURATORE CHE NON FUNZIONA
Con la sentenza n. 335/2008 depositata lo scorso 10 ottobre 2008, la Consulta ha stabilito che è incostituzionale, perché irragionevole, la legge dello Stato n. 36 del 5 gennaio 1994 (meglio conosciuta come legge “Galli”) e le successive modifiche nella parte in cui stabiliscono che la tariffa per la depurazione delle acque reflue deve essere pagata dai cittadini anche laddove il depuratore pubblico non esiste oppure non funziona.
Si tratta di una pronuncia tanto attesa da Cittadinanzattiva la quale aveva già verificato l’illogicità di una norma che, di fatto, in diverse zone del Paese, impone (ma ora è meglio dire “imponeva”) ai cittadini di pagare un corrispettivo per un servizio che in realtà non veniva erogato.
E si tratta di somme ingenti ! Perché la legge presuppone che un cittadino scarichi (e depuri) tanti metri cubi reflui quanti sono i metri cubi d’acqua che consuma.
Ora i cittadini hanno diritto al rimborso di quanto eventualmente pagato ingiustamente per la depurazione non effettuata. Per richiedere tale rimborso è necessario verificare la bolletta idrica e distinguere in essa la voce “tassa (o tariffa) per la depurazione” (non la voce “tassa per la fognatura”).
Cittadinanzattiva mette a disposizione dei cittadini il modulo relativo alla “istanza di rimborso” da avanzare al proprio Comune oppure al proprio gestore di riferimento (ATO, dove istituiti, oppure Consorzi pubblici, eccetera) per ottenere il rimborso di quanto pagato ingiustamente
SANGUE INFETTO E RESPONSABILITA’
Le Sezioni Unite della Cassazione si sono pronunciate con 10 sentenze, dalla n. 576 alla n. 585, depositate l’11 gennaio 2008, decidendo sulle più importanti questioni di diritto
riguardanti le cause di risarcimento del danno in materia di sangue infetto.
Sui periodi a partire dai quali può sostenersi la responsabilità del Ministero, la Suprema Corte ha stabilito che può configurarsi una condotta colposa per omessa vigilanza dei doveri istituzionali di controllo sia per l’HBV che per i casi di infezione da HCV e da HIV (scoperti negli anni ’80) dalla scoperta del virus dell’epatite B (primi anni ’70), trattandosi in tutti i casi di un unico evento lesivo, cioè la lesione dell’integrità fisica dell’individuo.
In ordine alla prescrizione, le Sezioni Unite, escludendo la ricorrenza della fattispecie di reato dell’epidemia colposa, hanno determinato la prescrizione in cinque anni per le persone sopravvissute ai virus e 10 anni in caso di decesso eziologicamente riconducibile alle malattie, stabilendo che la decorrenza di tale termine avviene dal momento della presentazione della domanda di indennizzo e non, come avremmo sperato, dalla conoscenza del verbale della CMO. Questo aspetto della pronuncia determina qualche problema sia per i giudizi pendenti che per quelli che ancora devono essere attivati.
Possiamo affermare che per i giudizi in corso nei quali la difesa dello Stato non abbia eccepito e provato nei termini e con le modalità previste dalla legge la prescrizione, salvi gli altri aspetti del giudizio, le cause possono proseguirsi.
In ogni caso, laddove la Giurisprudenza di merito dovesse confermare la decorrenza della
prescrizione dalla domanda, a parere della scrivente, potrà fare ricorso alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, sostenendo la decorrenza della prescrizione dal verbale della CMO, avendo solo in tale momento il danneggiato la certezza che il danno è da ricondursi al comportamento omissivo della Pubblica Amministrazione.