DEMOCRAZIA IN AZIONE: L’ATTIVISMO CIVICO NELL’ERA DELLA RIVOLUZIONE DIGITALE L’intervento di Anna Rita Cosso all’assemblea di fine anno di Cittadinanzattiva di Spoleto
Ho scelto di iniziare questo mio intervento dal titolo DEMOCRAZIA IN AZIONE partendo da un’esperienza statunitense che ho trovato descritta in un libro estremamente interessante e di cui consiglio la lettura “OCCIDENTE ESTREMO “ di Federico Rampini. Sottotitolo: IL NOSTRO FUTURO TRA L’ASCESA DELL’IMPERO CINESE E IL DECLINO DELLA POTENZA AMERICANA . Rampini è un corrispondente influente di Repubblica che ha molto soggiornato in India, in Cina e negli Stati Uniti.
Parlando dei positivi fermenti interni che accompagnano il declino dell’impero americano, descrive un Movimento “MoveOn: Democracy in Action” la più potente organizzazione progressista di base degli Stati Uniti d’America con 5 milioni di iscritti.
Perché la prendo in esame e ve la sottopongo? Che c’entriamo noi con gli Stati Uniti?
Perché questo movimento ha delle incredibili consonanze con quello che siamo, o meglio, con quello che noi vorremmo essere.
Nato nel 1998 nella Baia di San Francisco (per la verità anche con il sostegno finanziario di George Soros), raccoglie aderenti con slogan come questo: “La democrazia americana è ancora malata, le grandi lobby hanno il potere di corromperla: Vuoi unirti a noi per liberare il Paese dall’invadenza delle lobby? Vieni a costruire il tuo talento di organizzatore”
Movimento sicuramente più radicale e di sinistra di noi, nel primo decennio della sua vita MoveOn ha fatto grandi battaglie contro la guerra, per conquistare leggi ambientali più avanzate o il diritto all’assistenza sanitaria per tutti.
Tutto ciò sempre usando Internet, di cui ha fatto un utilizzo magistrale.
Dice il suo coordinatore :”MoveOn è davvero controllato dai suoi membri, come nessun movimento o partito lo è mai stato nella storia. Ogni settimana fa un sondaggio fra gli iscritti, e il sondaggio decide le campagne da fare. Tutto deciso dal basso”.
Ma dal 2010 ha anche 110 consigli territoriali, 25.000 militanti che s’incontrano in luoghi fisici e fanno corsi di addestramento che sembrano un po’ i corsi di formazione dei venditori di un’azienda. Ma questi metodi vengono applicati ad una base laica, scettica, ipercritica che non smette di pensare con la propria testa.
Sono il volto dinamico dell’impegno civile americano.
Perché mi ha colpito tanto questo esempio? In fondo ne conosciamo tanti di organizzazioni e movimenti di base in Italia, noi stessi lo siamo seppure in forme modeste, ed in trent’anni di storia tante realtà analoghe abbiamo conosciuto.
Mi ha colpito l’uso delle nuove tecnologie come strumenti a servizio della democrazia.
MoveOn ha dei valori ma non ha un’ideologia, non ha un gruppo dirigente nel senso tradizionale, tantomeno un’organizzazione di funzionari . La sua forza è nell’interattività.
Fanno tutto gli iscritti e dalle lettere che mandano al sito, MoveOn capisce subito qual è il tema del momento, su cui gli iscritti sono pronti a mobilitarsi . Organizzano house-parties, feste casalinghe in cui i simpatizzanti di MoveOn possono conoscersi di persona.
È una dimensione nuova della vita civile, sulla quale dobbiamo sintonizzarci perché è un potente strumento di cambiamento sociale.
Qualcosa di simile accade nel mondo dell’informazione culturale, sempre tramite le nuove tecnologie. In questi giorni si parla tanto di Wikileaks, ma non è il sito di Julian Assange che mi interessa in questo momento ma il mondo di Wikipedia: oltre 700.000 voci in italiano, tre milioni in inglese.
Dice il suo fondatore, Jimmy Wales: “Dieci anni fa, quando iniziai a parlare di Wikipedia alla gente, ricevetti molti sguardi divertiti e quasi di commiserazione.
Diciamo che tanti erano a dir poco scettici all’idea che dei volontari sparsi in tutto il mondo potessero unirsi per creare insieme un notevole compendio della conoscenza umana con il solo intento di condividerlo.
Niente pubblicità. Nessun guadagno. Nessun obiettivo finale recondito.
Dieci anni dopo, ogni mese, più di 380 milioni di persone usano Wikipedia, quasi una su tre di tutte quelle che si connettono a Internet.
È il 5º sito web più popolare del mondo. I primi quattro sono stati creati e vengono mantenuti grazie a miliardi di dollari di investimenti, a enormi staff aziendali e a continue campagne di marketing.
Wikipedia invece è qualcosa di completamente diverso da un sito web commerciale. È il risultato del lavoro di una comunità, scritta da volontari un pezzettino per volta. “
Non vi sembra straordinario? A me dà l’impressione che attraverso questo gigantesco movimento transiti una nuova idea di libertà di pensiero e di azione che si oppone all’informazione monodirezionale che ci viene propinata dalla televisione, in cui tu stai lì e ascolti, anzi bevi tutto quello che ti viene detto.
Questo è il WEB 2.0 , la seconda generazione di internet; la locuzione pone l’accento sulle differenze rispetto al cosiddetto Web 1.0, diffuso fino agli anni novanta (la data ufficiale di nascita di Internet è il 1991) , e composto prevalentemente da siti web statici, senza alcuna possibilità di interazione con l’utente eccetto la normale navigazione tra le pagine, l’uso delle e-mail e dei motori di ricerca. Si tende a indicare come Web 2.0 l’insieme di tutte quelle applicazioni online che permettono uno spiccato livello di interazione sito-utente (blog, forum, chat, sistemi quali Wikipedia, Youtube, Facebook, Myspace, Twitter, Gmail, WordPress, Tripadvisor ecc.). Tutto ciò perché sono semplici da usare, anche per chi non è assolutamente esperto di informatica.
Pensate all’importanza che ha avuto per la nostra città l’intuizione geniale che ebbe Leopoldo Corinti quando creò Spoletonline e come i giornali informatici (a Spoleto più che a Perugia, a mio parere) abbiano cambiato la qualità e la velocità dell’informazione locale.
Anche con aspetti negativi, non nascondiamocelo: perché se è in parte vero, come dice Loredana Lipperini nel suo “Non è un paese per vecchie”(Feltrinelli 2010) presentato sabato scorso in questa sala, che “la rete è il pozzo oscuro dove marcisce il peggio dell’umano sentire, dove si alimentano i sentimenti più fetidi, dove si parla e si insulta senza il filtro della carne…. ed è necessario che il web cresca, imparando ad assumersi la responsabilità delle proprie parole,”, l’autrice stessa riconosce che non c’è dubbio che grazie ad internet fioriscano” relazioni e approfondimenti, scritture e iniziative comuni.”
A mio parere è certo che il WEB 2.0 può dare più potere ai cittadini: quello che con un usatissimo anglicismo viene chiamato EMPOWERMENT, cioè AUMENTARE LA SOGGETTIVITÀ, LA COMPETENZA, LA CONSAPEVOLEZZA DEI CITTADINI.
Certo la cosa riguarda soprattutto i giovani e gli adulti, non gli anziani, anche se io ho un padre di 85 anni che usa quotidianamente il notebook, internet e skype.
E’ per questo che la banda larga è un fattore d’importanza strategica per aumentare il capitale sociale e per lo sviluppo economico e scientifico.
Negli Usa ci vollero 46 anni prima che il 30% delle case fosse collegato alla rete elettrica, 38 ne passarono prima che il telefono entrasse nella stessa percentuale di famiglie e 17 ne servirono alla televisione. A Internet sono bastati sette anni per raggiungere il 30% delle famiglie americane .
Pensate semplicemente a quanto siamo più liberi di sapere, oggi, se solo lo vogliamo. E non possiamo avere più potere, se non abbiamo più conoscenza.
Questo ci introduce al tema della ECONOMIA DELLA CONOSCENZA, uno dei tre pilastri della strategia di Lisbona, allorché nel 2000 il Consiglio d’Europa progettava di fare dell’Unione europea l’economia più competitiva del mondo. Certo, alla luce della crisi globale innescata nel 2008, questo obiettivi vanno spostati in avanti di qualche decennio, ma in ogni caso “rimane fermo il principio che la competitività nasce dalla conoscenza e dalla formazione”
Il contesto italiano è più difficile di altre realtà europee: dalle indagini ISTAT e CENSIS elaborate da Giovanni Solimine nel suo libro L’ ITALIA CHE LEGGE (Laterza 2010), emergono informazioni importanti di cui non possiamo non tenere conto se ci poniamo l’obiettivo politico di aumentare la soggettività dei cittadini : in Italia il 55% della popolazione superiore a 6 anni, pari a 31 milioni di persone, non legge neppure un libro all’anno. Sicuramente i lettori sono cresciuti se pensiamo che nel 1965 (per lettore l’ISTAT intende chi legge almeno un libro l’anno) erano il 16 % della popolazione, ma l’incremento non è andato di pari passo con l’innalzarsi del livello di scolarizzazione.
Ma anche se cresciuti i lettori italiani rimangono tristemente al di sotto dell’andamento europeo: se in Italia sono il 45 %, i lettori dell’Italia settentrionale e centrale (Svezia, Repubblica Ceca, Estonia, Finlandia e Regno Unito) sono il 70 % della popolazione; la Germania è al 64 %; perfino la Francia è al 54 %.
I giornali quotidiani sono letti almeno una volta la settimana dal 56 % della popolazione; legge il quotidiano 5 volte a settimana il 40 % della popolazione (il dato è del 2009, ma nel 2010 c’è stata una ulteriore flessione).
11 milioni e 400.000 persone non leggono niente di niente, neppure un giornale o un rotocalco.
Il 26,4 % della popolazione ha una dieta mediatica povera, rappresentata da un rapporto esclusivo con radio e televisione (anche se tra i due media c’è una grande differenza). Va detto che in nessun paese europeo esiste un pubblico di teledipendenti di proporzioni analoghe a quelle dell’Italia.
Vado alle conclusioni: ho fatto questa tirata per dire a voi di usare internet? Ovviamente No. Sto semplicemente invitando noi stessi a scoprire come certi strumenti possano aiutarci nella nostra battaglia quotidiana per democratizzare le istituzioni e dare più forza alla cittadinanza.
Uso la metodologia informatica come un modello di come a mio parere dovrebbe funzionare la nostra organizzazione, in modo interattivo, nel quale tutti gli iscritti ogni giorno stabiliscano le priorità dell’agire, reagendo anche a distanza a quanto accade nel territorio circostante e senza subire i progetti e i programmi calati dall’alto.
La partecipazione oggi non sgorga più spontaneamente dai cittadini, a meno che non si tratti di difendere un ospedale o bloccare, giustamente a mio parere, la localizzazione di un inceneritore: abbiamo esperienze numerose (molto numerose!!) di riunioni su temi importanti in cui ci si ritrova in quattro o cinque; ciò non vuol dire che non esista un capitale sociale, pur tra mille egoismi e particolarismi; si tratta di far crescere esperienze di lavoro di piccoli gruppi, intorno al fronteggiamento di problemi concreti. “Va costruito uno stile partecipativo (di tipo incrementale) che tenta di costruire i problemi con i cittadini (soprattutto quelli che abitualmente non partecipano) attraverso il lavoro di piccoli gruppi che gradualmente costruiscono un tessuto significativo.” (Gino Mazzoli, Le nuove vulnerabilità: rischi e opportunità per la democrazia, in PaneAcqua 2010)) Questo modo di lavorare con la gente, più leggero, molto diverso dal far politica di un tempo, è quello che noi dobbiamo sperimentare, per crescere noi stessi e far crescere la conoscenza anche delle tante situazioni di disagio invisibile che stanno intorno a noi.
Anna Rita Cosso
21 dicembre 2010